La riforma Gentile suddivise le materie di studio in umanistiche e scientifiche. Ottant’anni più tardi, la divisione è invece tra le discipline per uomini, tre ingegneri su quattro sono di sesso maschile, e quelle per donne, l’80 per cento dei laureati in pedagogia è di sesso femminile. A dirlo è l’Eurostat, che ha appena diffuso un rapporto dedicato agli oltre 5 milioni di europei che si sono laureati nel corso del 2014. È vero, di questi il 58% sono donne, ma ci sono facoltà in cui la principale differenza è proprio quella di genere.
Una disparità che appare più evidente nei politecnici europei: in Svizzera e in Irlanda addirittura l’85% dei laureati è maschio, in Germania e in Norvegia la percentuale supera l’80%. Solo nel piccolo Liechtenstein le donne ingegnere (51,1%) superano i colleghi di sesso maschile. L’Italia, con “appena” il 66% dei laureati nelle facoltà ingegneristiche è uomo sta quasi sette punti sotto la media europea del 72,8%, in compagnia di Paesi come la Bulgaria (67,1%) e la Serbia (64,8%). Altre facoltà a predominanza maschile sono quelle di scienze, matematica ed informatica. Qui la media è di un 57,6% di laureati uomini, anche se le differenze sono più marcate: se infatti in Olanda rappresentano il 72,6% del totale, in Romania sono appena il 40,6%. In Italia sono il 46,9%, lasciando il predominio in questi settori alle donne.
Le quali invece rappresentano la quota maggiore dei laureati nelle altre facoltà censite da Eurostat. Sono il 60,7% di coloro che hanno terminato gli studi di economia, scienze politiche e giurisprudenza, il 67,2% di chi ha scelto discipline umanistiche, il 74,7% di chi ha deciso invece di intraprendere una carriera nel mondo della sanità e dell’assistenza. E l’80,3% di chi infine vuole fare l’insegnante. È solo in Liechtenstein, Turchia e Svizzera che economisti e avvocati sono per la maggior parte uomini, mentre l’Italia è sostanzialmente in media col resto d’Europa: ogni cinque laureati in queste discipline due sono uomini e tre sono donne.
Discorso analogo per le facoltà umanistiche: le laureate in lettere e filosofia italiane rappresentano il 72,1%, qualcosa in più rispetto alla media europea. Se invece si guarda alle discipline dell’area sanitaria, la preponderanza femminile nel Belpaese è meno marcata, visto che si attesta al 68,2% mentre a livello continentale si sfiora il 75%. Se si esclude il Liechtenstein, unico Paese in cui medicina e welfare sono un mestiere “da uomini, l’Italia è la terza realtà per presenza maschile in questi ambiti dopo Cipro e Turchia. Infine, quella che Eurostat chiama Education, il settore femminile per antonomasia. In questo caso, le facoltà italiane superano la media europa di quasi dieci punti, visto che la percentuale di laureate donne è dell’89,9% contro l’80,3% di tutti i Paesi dell’Unione.
Fin qui le questioni di genere. Ma il problema, quando si parla di facoltà come ingegneria, scienze, matematica e informatica non è solo legato al fatto che si iscrivono poche donne. Ma in generale che attraggono pochi studenti. Nel 2014 si sono laureati 4 milioni e 750mila giovani europei, ma solo il 14,4% di loro si è diplomato ad un politecnico e appena il 10,1 in discipline scientifiche e informatiche. Un laureato su tre, invece, arriva da economia, legge e sociologia. La situazione, in Italia, è ancora peggiore: se i valori per quanto riguarda queste ultime facoltà e ingegneria sono in media con il resto d’Europa, sono le discipline scientifiche ad essere penalizzate, visto che nel 2014 i laureati in queste materie hanno rappresentato appena il 7,5% del totale.
Non è insomma un caso se lo scorso aprile l’Unione europea abbia lanciato #EuFactor, una campagna rivolta ai giovani tra i 16 e i 19 anni per invitarli ad iscriversi alle facoltà Stem, ovvero science, technology, engineering, mathematics. Motivo? Da qui al 2025 ci saranno 2,3 milioni di posti di lavoro vacanti per laureati in queste discipline. In tempi di Brexit, insomma, vale la pena di iscriversi a una facoltà scientifica. In fondo, ce lo chiede l’Europa.