Da domenica 5 giugno 2016 è entrata in vigore la legge 76 del 2016, la “Cirinnà”, dal cognome della prima firmataria e relatrice del Senato, Monica Cirinnà (Pd).
La legge fa debuttare le unioni civili per le persone dello stesso sesso: con la dichiarazione all’ufficiale dello stato civile, infatti, i partner si impegnano per la reciproca assistenza morale e materiale e a vivere sotto lo stesso tetto.
Inoltre, la legge Cirinnà regola le convivenze di fatto dichiarate all’anagrafe.
Ma vediamo le differenze tra le forme familiari coinvolte: matrimonio, unioni civili e convivenze di fatto.
Per quanto riguarda il diritto di famiglia, in tutti i casi i partner devono contribuire ai bisogni familiari e all’assistenza reciproca; possono accedere al regime di comunione dei beni o a quello di separazione; hanno il diritto di visita in caso di malattia e il diritto di risarcimento del danno se il partner muore per illecito di un terzo. Inoltre, se la relazione finisce e il rapporto si scioglie, il partner più debole può ottenere l’assegno di mantenimento (a esclusione delle convivenze di fatto, che però danno diritto agli alimenti, per un periodo proporzionale alla durata della convivenza).
Al contrario di ciò che impone il Codice civile alle coppie sposate, la legge 76 non cita l’obbligo di fedeltà per le unioni civili e per le convivenze di fatto. In tema di adozione, a eccezione di casi particolari in cui il giudice potrebbe autorizzarla, rimangono ancora escluse sia le coppie omosessuali legate da un’unione civile, sia i partner delle convivenze di fatto. La legge, infatti, esplicita che l’equiparazione tra i partner di unione civile e i coniugi non vale per la legge sull’adozione, la 184 del 1983.
Chiudere un’unione civile è molto più facile che sciogliere un matrimonio: tre mesi dopo avere dichiarato all’ufficiale dello stato civile la volontà di separarsi, le coppie omosessuali possono direttamente divorziare; i conviventi di fatto, invece, si possono lasciare senza alcuna formalità.
In tema di successioni, l’unione civile è parificata al matrimonio. I conviventi di fatto, invece, sono esclusi dall’eredità del partner.
Sul versante fiscale e come lavoratori, i partner delle unioni civili hanno lo stesso trattamento dei coniugi. Ai conviventi di fatto, invece, è solo riconosciuto il diritto di partecipare agli utili dell’impresa familiare.
In generale, alle convivenze di fatto la legge offre un ombrello di garanzie minime. E le tutele non sono previste per tutte le coppie di fatto, ma solo per quelle che sono registrate come conviventi all’anagrafe. I partner che, per le più svariate ragioni, hanno residenze diverse, restano fuori dall’ambito della legge.
Infine, la legge Cirinnà consente ai conviventi registrati all’anagrafe di sottoscrivere un “contratto di convivenza”, con l’aiuto di un avvocato o di un notaio, per regolare le questioni patrimoniali.
Tratto da Il Sole 24 ORE del 06/06/2016, pagina 9
Nel 2014 secondo Istat sono stati celebrati 189.765 matrimoni, circa 4.300 in meno rispetto all’anno precedente. Il trend non è nuovo. Qui un simpatico spaccato sull’età di chi sposa chi. Cliccando la foto invece abbiamo i numeri della reticenza a indossare l’anello.
Al contempo aumentano le nuove famiglie, o più precisamente quelle forme familiari alternative o non tradizionali. Liberi unioni, single, monogenitori non vedovi, famiglie ricostituite coniugate: i dati li avete cliccando l’immagine.
Si potrebbe a questo punto dare un occhiata alla crescita demografica. Se diminuiscono i matrimoni in teoria dovrebbero calare anche le nascite. In teoria. Essere sposati non vuol dire necessariamente generare figli. E’ banale. In ogni caso, la popolazione residente in Italia è sostanzialmente arrivata alla crescita zero: i flussi migratori riescono a malapena a compensare il calo demografico dovuto alla dinamica naturale (nati meno morti)
Se quindi: calano i matrimoni, si fanno meno figli e quindi diventiamo un paese sempre più vecchio chi paga le pensioni? La spesa pensionistica assorbe una spesa pari al 17% del Pil. Non poco quindi. Se spendiamo troppo in pensioni come possiamo finanziare i servizi dello Stato? Cioè: chi paga le tasse? O meglio chi paga più tasse: la famiglia tradizionale? I single? Le famiglie arcobaleno?