Un comma su cinque della manovra prevede un impegno di spesa per le casse dello Stato. Si va dalla microspesa di 100mila euro per escludere dal perimetro della spending review la società Arte lavoro e servizi (Ales) o dai 300mila euro per i servizi stampa degli italiani all’estero, fino ai maxi-oneri come 1,9 miliardi per il 2017 destinati al “Fondo Renzi” per gli investimenti pubblici o, a seguire, 1,45 miliardi per i contratti pubblici. È quanto emerge dall’analisi dei 638 commi che compongono l’articolo 1 della legge di bilancio per il triennio 2017-2019, approvata definitivamente dal Senato mercoledì.
Sono 120, infatti, le misure che nel triennio prevedono un nuovo finanziamento. A queste poi si potrebbero aggiungere anche quelle della sezione seconda della legge di bilancio sui rifinanziamenti o le riprogrammazioni di spesa dei singoli ministeri dove si va dai 4,3 miliardi del Fondo per gli interventi strutturali di politica economica al milione e mezzo per il contributo ai collegi universitari legalmente riconosciuti per lo svolgimento di attività culturale a carattere nazionale e internazionale. Ma ci sono anche i 50 milioni per le non autosufficienze, i 130 milioni per i forestali calabresi. Il tentativo di passare da una legge di stabilità puntualmente oggetto dell’assalto alla diligenza di “fine nottata” a una legge di bilancio più rigorosa e con paletti di accesso più stringenti è soltanto parzialmente riuscito. Alla fine dell’esame “monocamerale” di Montecitorio con la ratifica tecnica di Palazzo Madama le maggiori spese del solo articolo 1 ammontano a 10,8 miliardi nel 2017 che salgono fino a 16,2 miliardi nel 2018 e 17,3 miliardi nel 2019.