L’economista Max Roser, autore del blog “Our World in Data” ha pubblicato cinque grafici che vorrebbero rispondere a una delle domande fondamentali dell’esistenza politica. “Tutto considerato, pensiamo che il mondo sia migliorato o peggiorato, o nessuna delle due?”
Il primo grafico riguarda la disuguaglianza sociale. I ricercatori descrivono la condizione di povertà estrema quella che contraddistingue le persone che vivono con meno di 1,90 dollari al giorno. Il primo grafico mostra le stime per la quota della popolazione mondiale che vive in condizioni di estrema povertà. Nel 1820 solo una piccola élite godeva di standard di vita più elevati. Da allora la quota di persone estremamente povere sono costantemente diminuiti. Nel 1950 i tre quarti del mondo vivevano in condizioni di estrema povertà; nel 1981 era ancora del 44%. Nel 2015 la ricerca suggerisce che la quota in condizioni di estrema povertà è sceso al di sotto del 10%.
Il terzo indicatore scelto dall’economista è quello della mortalità infantile. E quindi la salute. Nel 1800 le condizioni di salute dei nostri antenati erano tali che circa il 43% dei neonati di tutto il mondo è morto prima di aver compiuto cinque anni. Le stime storiche indicano che il mondo intero ha vissuto in condizioni precarie. Grazie ai progressi nella medicina, nell’istruzione, nell’igiene la salute globale è migliorata in un modo che era impensabile per i nostri antenati. Nel 2015 la mortalità infantile è sceso al 4,3% – 10 volte inferiore a 2 secoli fa.
Il quarto indicatore riguarda la libertà in termini generali. Ma la declinazione è politica. Si analizza in sostanza come sono evoluti negli ultimi due secoli le forme di governo. Il grafico mostra la percentuale di persone che vivono sotto i diversi tipi di regimi politici. Nel corso del diciannovesimo secolo più di un terzo della popolazione viveva in regimi coloniali e quasi tutti gli altri hanno vissuto in paesi governati da autocrazie. Nella seconda metà del XX secolo prendono piede le democrazie. La quota della popolazione mondiale che vive nelle democrazie è aumentata continuamente.
Il quinto indicatore è legato alla demografia e alla fertilità. La popolazione mondiale ammontava a circa 1 miliardo nel 1800. Da allora è cresciuta di 7 volte. Secondo l’autore dello studio il boom demografico mostra un risultato straordinario.
In tempi pre-moderni la fertilità era alta – 5 o 6 figli per donna erano la norma mentre la mortalità era alta. La popolazione complessivamente cresceva poco nonostante il numero di figli partoriti. Negli ultimi cento anni l’aspettativa di vita globale è raddoppiata. Oggi la fertilità è in declino in tutto il mondo. La popolazione mondiale è quadruplicata nel corso del XX secolo e non raddoppierà più nel corso di questo secolo. Le Nazioni Unite si aspettano una lenta crescita della popolazione annua del 0,1%, mentre i demografi da IIASA aspettano la fine della crescita della popolazione intorno all’anno 2075. Quindi, sempre secondo l’economista, ci stiamo stabilizzando.
Infine l’istruzione. Il grafico sotto mostra la previsioni dell’istituto IIASA per la dimensione e la composizione dell’istruzione della popolazione mondiale fino al 2100. I ricercatori si aspettano che il numero di bambini si ridurrà. La popolazione mondiale toccherò quindi un picco massimo nel 2070 e poi comincerà a calare. Sulla base di questa previsione entro il 2100 tutta la popolazione avrà frequentato almeno le scuole elementari.
Considerazioni finali (e personali). Se scorriamo i grafici appare chiaro che rispetto ai due secoli è tutto più bello. Siamo più sani, più istruiti e più civili e in alcune zone del mondo esiste anche una speranza di ascensore sociale. Tuttavia, la società del 1800 è meno articolato di quella attuale. Le disuguaglianze economiche sono aumentate e l’indicatore della povertà assoluta non è un buon metro per misurare la crisi della classe media. I costi della cresciuta della aspettativa di vita si sono riversati in molte società sullo Stato sociale impoverendo ulteriormente alcune classi sociali. E’ vero quindi che viviamo di più ma costiamo moltissimo in termini previdenziali e per le cure sanitarie. L’istruzione poi non è un indicatore di benessere materiale ma di consapevolezza culturale e quindi di civiltà. Siamo più buoni, più consapevoli ma più poveri. La risposta banale quindi è che certo stiamo in media meglio rispetto al 1800. Ma non il nostro non è davvero il migliore dei mondi possibili. O almeno siamo ancora piuttosto lontani.