Sono 40mila gli investitori nelle oltre 6mila startup innovative iscritte al registro delle imprese. Il dato emerge dall’analisi del Primo Osservatorio Open Innovation e Corporate Venture Capital a cura di Assolombarda, Italia Startup e SMAU. Fra gli investitori, le corporate sono circa 5mila, concentrate nel capitale di poco meno di 2 mila startup innovative. Non solo, il 16% delle società che investono direttamente in startup innovative è nel capitale di almeno un’altra startup. Ma qual è l’identikit delle aziende che scelgono il corporate venturing? La maggior parte delle imprese che investono in startup innovative sono large corporate, quindi con un fatturato superiore ai 50 milioni di euro (2.858), seguono le medie imprese (301) e poi le piccole (93). Secondo i dati dell’Osservatorio, poi, il corporate venture capital viene utilizzato per la ricerca e sviluppo e per la trasformazione digitale. E infatti, il 77% dei soci che operano nel settore industriale investe in startup attive nei servizi e prevalentemente nella ricerca e sviluppo, il 61% delle imprese del settore meccanica investe in startup che si occupano anche di software e informatica e così il 76 per cento delle imprese della produzione hi tech. «L’accelerazione verso l’innovazione digitale può essere facilitata e accelerata tramite l’innovazione esterna e il corporate venture capital rivolto alle startup – conferma Gabriele Brusa, presidente di Innovami, centro per l’Innovazione e incubatore d’impresa con sede a Imola, che ha accompagnato la nascita e l’incubazione di 26 imprese e ha promosso una giornata di lavori sul tema della digitalizzazione e dello sviluppo competitivo dell’industria manifattura alla luce della quarta rivoluzione Industriale.
«Oltre a essere una pratica ampiamente utilizzata all’estero, il corporate venture capital sta diventando anche la più praticata in Italia. Ma la sfida della digitalizzazione – prosegue Brusa – non è solo l’analisi su quali tecnologie applicative investire, come automatizzare i processi, fare parlare le macchine o ottenere dati dai prodotti: le diverse capacità dei prodotti e i dati da loro generati spingono verso una diversa competizione che impatta i modelli di business e le catene del valore, le competenze e le figure professionali necessarie».
Tra chi ha puntato su operazioni di open innovation c’è Italeaf, “la fabbrica delle fabbriche”, che ha deciso di investire nella creazione di newco ad alto contenuto tecnologico nel settore cleantech e dell’industria sostenibile. Italeaf è quotata sul mercato Nasdaq Omx First North della Borsa di Stoccolma e nel 2015 ha prodotto ricavi per 371 milioni di euro, con un utile netto consolidato di 2,5 milioni di euro. «Il nostro modello – spiega Federico Zacaglioni, responsabile delle relazioni esterne & sviluppo di Italeaf – è basato sull’affermazione di un nuovo “made in Italy” capace di integrare la capacità manifatturiera e di design dell’industria nazionale con le nuove tecnologie digitali. L’obiettivo della società è creare iniziative industriali innovative nei comparti a più elevato tasso di crescita su scala. E per questo cerchiamo startupper che siano davvero pronti a fare gli imprenditori». Tra le newco costituite Italeaf c’è Wisave, che opera nel settore internet of things per lo sviluppo e la produzione di termostati intelligenti e tecnologie per il telecontrollo remoto degli impianti elettrici e termici degli edifici . L’ingresso di Italeaf, con un seed iniziale di 120mila euro e un successivo round di equity financing da 600mila euro, ha permesso uno sviluppo industriale ingente, che guarda all’Asia Pacifico e che è partito dall’installazione nell’Hong Kong Science and Technology Park.
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