In Italia contro la corruzione si legifera molto, si scrive tanto e si discute parecchio, ma quanto sono davvero affilate le armi che mette in campo il nostro paese, inteso non solo come istituzioni, ma anche come società civile e media? Se lo è chiesto Transparency International che applicando una metodologia internazionale
Il quadro della lotta alla corruzione in Italia è spaccato in due: da una parte un apparato normativo che con 62 punti su 100 risulta sufficiente, ma dall’altra l’applicazione pratica e la capacità sanzionatoria e repressiva delle istituzioni che raggiunge un punteggio di soli 45/100. Questi sono alcuni dei dati che emergono dal nuovo report Agenda anticorruzione 2017 – L’impegno dell’Italia nella lotta alla corruzione presentato oggi a Roma da Transparency International Italia, in cui leggi e pratiche anticorruzione nel settore pubblico, privato e nella società civile sono stati analizzati a fondo, per valutare le effettive capacità del nostro Paese di far fronte ad uno dei mali principali che lo affligge.
La corruzione infatti è un tema predominante nella cronaca quotidiana: dall’inizio dell’anno ad oggi sono più di 560 i casi di corruzione riportati dai media, in base ai dati della mappa della corruzione aggiornati mensilmente dalla ong italiana.
Corruzione che dilaga anche a causa di due importanti lacune che contribuiscono ad abbassare di molto il giudizio sul quadro normativo: la mancanza di tutele per chi segnala casi di corruzione (c.d. whistleblower) e l’assenza di una regolamentazione delle attività di lobbying, che raggiungono rispettivamente un punteggio di 25/100 e 29/100. Tuttavia, se sul whistleblowing qualcosa si sta muovendo con l’approvazione del Ddl Businarolo alla Camera e la discussione della proposta già programmata in aula al Senato per questa settimana, sul lobbying siamo ancora molto lontani da una qualsivoglia regolamentazione.
In cima alla classifica dei settori in cui legge e pratica funzionano meglio nell’arginare i fenomeni criminali in oggetto, troviamo il sistema antiriciclaggio (75 punti su 100) e gli obblighi di trasparenza a livello contabile (89/100) grazie soprattutto alla recente reintroduzione del reato di falso in bilancio. Insufficiente è anche il quadro del settore privato (51/100), dovuto soprattutto al gap tra le grandi
aziende, più all’avanguardia sui temi della trasparenza e dell’integrità, e le piccole e medie imprese, ancora lontane dall’affrontare il fenomeno con strumenti adeguati. Anche la società civile e i media, con un punteggio di 42/100, risultano avere un ruolo abbastanza marginale nel promuovere la lotta alla corruzione e ad essere dei veri e propri “cani da guardia” monitorando i soggetti più a rischio corruzione. Se di corruzione se ne parla tanto, rari sono però gli approfondimenti e le campagne mediatiche sul tema che, per sua natura, ha bisogno di essere
affrontato da un punto di vista culturale.
“Nonostante il quadro ancora insufficiente delineato dal nostro report, siamo ottimisti per il futuro” dichiara Virginio Carnevali, Presidente di Transparency International Italia “Iniziamo a riempire il vuoto legislativo sul whistleblowing e sul lobbying e poi concentriamo sforzi e risorse per applicare più efficacemente le tante e buone leggi che abbiamo”.
Transparency International Italia, sulla base dei risultati evidenziati dal report, ha stilato un’agenda di priorità che Governo e Parlamento, attuali e futuri, dovrebbero seguire se realmente interessati a far fronte al problema cronico della corruzione. Tra queste troviamo: legislazione sul whistleblowing, regolamentazione del lobbying, rafforzamento dei presidi anticorruzione negli enti pubblici dotando di maggiori risorse i Responsabili per la Prevenzione della Corruzione, semplificazione delle leggi per evitare abusi e maggiori investimenti sull’educazione civica dei giovani, per formare una società più informata, consapevole e attiva.
Ecco i dati nel dettaglio