L’immigrazione resta uno dei temi su cui il governo sta basando buona parte delle sue attività, anche se finora nelle dichiarazioni più che nei fatti. Ci sono pochi dubbi che questo comportamento, riflette l’atteggiamento di una parte non proprio piccolissima di italiani, che considerano questo fenomeno un problema prioritario da affrontare.
Certo è che dai numeri di tutte le agenzie statistiche del mondo sappiamo che l’Italia non è affatto il paese in cui sono ospitati più richiedenti asilo, o che ha ricevuto più domande in questo senso.
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Insieme, è da circa una decina d’anni che diminuisce l’immigrazione di lavoratori mentre aumenta l’emigrazione degli italiani,
né c’è alcuna evidenza che il nostro sia il paese in cui risiedono più immigrati irregolari.
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Come si spiega allora l’atteggiamento degli italiani, che comunque in Europa restano i più contrari, in generale, all’immigrazione?
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Se esiste una distanza fra realtà e percezione, per cercare di capire come la pensano davvero le persone vale la pena guardare a quest’ultima. Più esattamente a uno studio condotto dall’agenzia europea di statistica ogni tre anni, e i cui ultimi risultati sono stati resi noti dal sito European Data Journalism Network.
Il bello di quest’analisi è che viene condotta a livello locale, in diverse fra le principali città europee, e così può farci capire dettagli che le medie nazionali magari invece nascondono – per esempio differenze fra nord e sud. Per l’Italia sono state considerate Verona, Palermo, Napoli, Bologna, Torino e Roma, cui vanno aggiunte tutte le altre capitali più altri centri importanti del continente – in tutto poco meno di 120 località.
Dal punto di vista del rapporto con gli stranieri, per i nostri scopi le domande su cui focalizzarsi sono due: secondo i cittadini, gli stranieri sono ben integrati? E la presenza di stranieri è un bene oppure no per la propria città? Prendendo la percentuale di persone che si è dichiarata abbastanza o molto in disaccordo con queste due idee, troviamo i diversi modi di percepire i non nativi.
La particolarità delle città italiane analizzate è che si trovano tutte al lato estremo dello spettro o quasi, in entrambe le domande. Questo vale soprattutto chiedendo se gli stranieri sono un bene per la propria città, caso in cui vengono superate soltanto da località greche o turche, mentre solo un paio francesi sono grosso modo al pari di Verona – l’italiana più vicina al resto del gruppo.
Prendendo piuttosto la percezione di quanto essi sono integrati a risaltare è soprattutto Roma, dove oltre il 60% ha risposto in senso negativo; di nuovo superata solo da Atene, alla pari con Istanbul e Malmö, in Svezia, paese che però ha avuto un flusso di richieste di asilo enormemente superiore all’Italia.
Sotto l’aspetto dell’integrazione le città italiane restano certamente nella parte alta del gruppo, ma il dato risulta comunque vicino a quello di tante altre località come Barcellona, Amsterdam o Bruxelles.
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Per le italiane possiamo anche scendere nel dettaglio e guardare a come si sono mosse le opinioni negli ultimi anni. Dove più, dove meno, la tendenza generale resta di un generale aumento dell’idea secondo cui la presenza di stranieri non è un bene per la propria città. In ciascuno dei luoghi studiati, la fetta di persone che la pensa così è risultata crescere – e spesso anche parecchio – rispetto al passato.
Fra quelle analizzate, in effetti, Roma e Torino, risultano le città in cui questa opinione si è diffusa in maggior misura, mentre l’eccezione è Napoli dove tutto sommato non ci sono stati grandi cambiamenti. Direzione simile – anche se con intensità diversa – ha avuto la percezione dell’integrazione, che quasi ovunque si è indirizzata verso un sentimento negativo.
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L’atteggiamento degli italiani verso l’immigrazione è uno dei meno tolleranti nei paesi sviluppati, e a ben vedere non si tratta di qualcosa di temporaneo o nuovo, ma che troviamo anche tornando indietro nel tempo.
http://www.pewglobal.org/2008/01/17/italys-malaise/
L’ultima edizione dell’indagine Eurostat di percezione nelle città europee, d’altra parte, è stata svolta prima della fase più acuta della crisi migratoria. Sembra allora del tutto plausibile che, a rivolgere oggi le stesse domande alle persone, avremmo risposte ancora più forti nello stesso verso.