28L’Italia ha un problema di finanziamento all’istruzione? Per capire quanti soldi vengono investiti davvero nella scuola e nell’università esistono, alla grossa, due modi diversi. Il primo e più semplice consiste nel contare le risorse investite nel settore in un anno rispetto a tutte quelle disponibili, ovvero il prodotto interno lordo.
Conviene però raccontare storie separate per l’università e la formazione che invece la precede, perché i risultati sono diversi e mischiarli rischia di confondere più che chiarire. Secondo le statistiche raccolte dall’OCSE nel suo ultimo rapporto Education at a Glance 2017, l’Italia risulta sotto la media per tutti i livelli educativi. Il divario si ampia nel caso dell’istruzione universitaria, dove fra tutti i paesi OCSE risultiamo quartultimi per finanziamenti in percentuale del prodotto interno lordo. Per i livelli precedenti invece il distacco e minore, e in effetti risultiamo sotto la media di qualche decimale di PIL – che comunque in proporzione valgono centinaia di milioni di euro.
Questi numeri comprendono le sole risorse pubbliche investite nell’istruzione, mentre il totale complessivo include anche la spesa privata e trasferimenti dal pubblico al privato come borse di studio o sussidi a istituzioni private. In nazioni come il Regno Unito o gli Stati Uniti la spesa privata in istruzione universitaria è particolarmente importante, tanto che sommata a quella pubblica porta il totale a valori molto più elevati. In Italia invece essa conta molto, molto meno.
Prendere solo quel numero però non tiene in conto che le nazioni non sono tutte uguali – alcune hanno più studenti, altre meno. Da un certo punto di vista potrebbe non essere così strano se paesi più anziani spendono in totale meno per l’istruzione, banalmente perché di studenti ce ne sono meno. Sappiamo che l’Italia è fra questi: secondo https://ec.europa.eu/eurostat/tgm/table.do?tab=table&init=1&language=en&pcode=tps00010&plugin=1 Eurostat siamo una delle nazioni in cui gli over 65 sono di più. È allora questa la ragione che spiega il distacco dell’Italia? In effetti questo sembra più un luogo comune che altro, e almeno fra le nazioni europee non sembra esserci alcun legame particolare fra le due cose. Troviamo in effetti nazioni con un tasso di anzianità anche solo di poco minore del nostro, e che però investono parecchio di più a tutti i livelli di istruzione – così come il contrario, in effetti.
Un altro modo per capire se davvero investiamo poco o tanto nel futuro dei giovani è calcolare la spesa per ogni studente, come ha fatto ancora l’OCSE a ciascun livello: dalla scuola elementare fino all’università. Anche in questo caso risultiamo comunque sotto la media, con il divario che diventa enorme nel caso dell’università.
Qui però l’organizzazione statistica ha incluso sia risorse pubbliche che private, e in più vengono considerate anche quelle che vanno alla ricerca – dunque non strettamente collegate all’istruzione come viene spesso intesa.
Diventa allora più complicato capire quanto pesano le une e le altre, e in che misura il finanziamento all’istruzione arriva attraverso le tasse pagate dai cittadini – e dunque poi da fonte pubblica – oppure direttamente dalle loro tasche. Va poi sottolineato che non tutte le risorse sono nate uguali. Molto dipende anche da come vengono impiegate: si può spendere parecchio e ottenere comunque poco, se il sistema educativo non è ben organizzato.
Non c’è troppo da sorprendersi che nazioni ricche spendano di più per i propri studenti: dopo tutto hanno più risorse a disposizione. Questa relazione diventa però più complicata nel caso dell’istruzione universitaria, dove l’OCSE ha trovato un legame comunque presente ma che si indebolisce.