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economia

Quanto spendono le famiglie italiane ogni mese? C’é chi arriva a 8mila euro

I poveri tirano la cinghia, mentre i ricchi spendono e spandono. Abbastanza scontato, certamente, altrimenti i primi non sarebbero così poveri e i secondi non così ricchi. E tuttavia l’ultimo report di Istat sui consumi delle famiglie mostra come il trend di queste disuguaglianze sia in aumento nel nostro Paese.

Ecco l’esercizio: prendiamo le famiglie e facciamole a fette, secondo la quantità di spese mensili sostenute. La centesima parte, cioè quella che ha visto meno soldi uscire dalle proprie tasche, nel 2019 (perché iniziamo a considerare l’ultimo anno “normale”, pre-Covid19) è stata costretta a campare con 531 euro ogni mese. La novantanovesima parte, lo scaglione superiore esaminato dall’Istituto di Statistica, spende ben oltre 8mila e 400 euro. Già detta così è una differenza di quasi sedici volte, ma si badi bene: questo non rappresenta il reddito, ma solo le uscite: mancano tutti i risparmi – che non vengono qui considerati – e ovviamente alcune spese correnti possono essere sostenute da debito.

Fin qui la cosa potrebbe non meravigliare più di tanto, ma quale film vedremmo se riavvolgessimo la pellicola al 2013? Ecco, sei anni prima i poverissimi spendevano un po’ di più: 555 euro. Questo significa che l’ultimo percentile ha peggiorato la propria condizione del 4%. Tirare la cinghia, appunto. Dall’altro capo della classifica, invece, i Paperoni hanno incrementato proprie spese del 14%. Spendere e spandere, appunto.

E con la pandemia? Nell’ultimo anno le spese si sono contratte per tutti. Ovviamente una famiglia costretta ad arrivare a fine mese con 500 euro non può ridurre ulteriormente le uscite in modo significativo, immaginando (ma i dati non ce lo dicono) che siano solo consumi di sopravvivenza e quindi incomprimibili oltre a una certa misura. Man mano che i percentili salgono verso condizioni di maggiore agiatezza relativa, le spese nel 2020 si sono ridotte rispetto all’anno precedente: di circa il 5% per una famiglia con uscite pari a 1.000/1.200 euro e arrivando al 9% circa a partire da 1.700 euro. E, anche in questo caso, non sappiamo le cause dai numeri di Istat, potendo solo supporre che se da un lato la crisi economica innescata dalla pandemia ha colpito alcune professioni più di altre (facendone quindi ridurre i consumi), dall’altro con i lockdown, lo smart working e le chiusure imposte a negozi ed esercizi pubblici per il contrasto al Covid 19 si siano semplicemente ridotte le opportunità di acquisto di prodotti e servizi non strettamente essenziali.

Ma dove si possono trovare con più frequenza queste differenze? Istat non lo dice chiaramente, ma abbiamo provato a supporlo tramite un’elaborazione. Tra i valori noti abbiamo sia il dato medio (ossia quello ottenuto dividendo il totale della spesa per il numero di famiglie) sia quello mediano, cioè il valore che si pone esattamente in mezzo ad una serie. Per spiegare il concetto in modo semplice, il valore mediano del tempo impiegato da cinque concorrenti di una gara ciclistica è quello del terzo classificato, mentre quello medio è calcolato sommando tutti i tempi e dividendoli per cinque. In questo esempio, in caso di arrivo in volata il valore mediano corrisponderebbe all’incirca a quello medio, mentre in caso di arrivo in fuga solitaria di un solo concorrente si discosterebbe in modo significativo.

Ebbene il valore medio è sempre molto più alto di quello mediano: cioè siamo in presenza di un indizio di “fuga” dei più ricchi all’interno di ciascuna categoria di famiglie, classificate per le diverse voci.

Ma dove è più ampio questo divario tra soggetti con maggiore e minore spesa? Tra le top 10 caratteristiche, dal punto di vista geografico vi sono gli abitanti di Basilicata, Emilia-Romagna e Valle d’Aosta. Secondo la tipologia di comune chi abita in centro di un’area metropolitana e per quanto riguarda la cittadinanza, le famiglie miste di italiani e stranieri. A seconda della condizione lavorativa chi ha come riferimento familiare un inattivo non pensionato ed infine, come tipologia di famiglia, i nuclei di anziani soli.

È utile tuttavia ribadirlo: ciò non vuol dire che queste tipologie di famiglie se la passino peggio (o meglio) di altre: significa solo che tra le famiglie con queste caratteristiche è più probabile che le differenze nelle capacità di spesa siano maggiori, e cioè che coloro che sono (relativamente al gruppo considerato) più ricchi siano più distanti dai (sempre relativamente) più poveri.

Lo diciamo chiaramente: la nostra elaborazione permette di giungere ad un indizio e non ad una prova. Per poterlo affermare con certezza occorrerebbe guardare all’interno dei microdati, ossia l’insieme di tutte le osservazioni effettuate (le interviste alle famiglie), che ovviamente per motivi di tutela della privacy non vengono resi pubblici dall’Istat. Potrebbe anche essere che l’effettiva distribuzione sia più lineare si quanto ipotizzato, almeno per qualche categoria, sfalsando così il risultato. Tuttavia, le differenze di questo indicatore, non di poco conto e tutte concordi nella direzione e intensità, andrebbero comunque spiegate.