La crescita che stenta a ripartire passa anche per un moderato imbarazzo, quello delle previsioni sbagliate. Manco a dirlo, per eccesso. Non è successo di rado, negli ultimi anni di consuntivi sempre peggiori dei preventivi, che alle stime seguissero commenti ironici sul genere «certo, oggi dicono così, a metà anno sarà già un’altra cosa». Al Fondo monetario internazionale qualche domanda se la sono fatta e la risposta è arrivata con un articolo ad hoc, pubblicato nel World Economic Outlook d’autunno e intitolato “Le ragioni delle revisioni delle stime di crescita del Fmi dal 2011”.
Dopo la grande crisi finanziaria esplosa con il collasso di Lehman Brothers la crescita globale ha subito un rallentamento costante: tra il 2010 e il 2013 si è passati dal 5,4% al 3,3%. Un ruolo importante, certo, lo ha giocato una frenata dell’Eurozona andata oltre l’immaginabile. Basta questo a spiegare gli «errori seriali» nelle stime, come li definisce lo stesso istituto di cui è stimato capo economista Olivier Blanchard? Forse no. Del resto, i profani potrebbero chiedere: a che servono le previsioni se non ci prendono mai?