L’acquisto del 2% di Mediobanca da parte della People’s Bank of China è l’ultimo capitolo di una campagna acquisti a suon di miliardi che la Repubblica Popolare sta portando avanti da mesi nel Bel Paese e che l’ha portata a detenere importanti partecipazioni in alcune tra le più grosse società quotate italiane come Eni, Enel, Fiat, Telecom Italia e Prysmian e Generali. Nel nostro Paese la Cina opera soprattutto attraverso la sua banca centrale la People’s Bank of China mentre su altri mercati (come Wall Street) preferisce muoversi attraverso il suo fondo sovrano China Investment Corporation. Le azioni in portafoglio della banca centrale cinese sono per la stragrande maggioranza italiane (l’unica eccezione l’1,6% detenuto nella banca norvegese Dnb) e il valore di mercato, stando alla banca dati S&P Capital IQ, ha superato in questi giorni i tremila miliardi di euro.
Questa cifra, a cui va aggiunta una manciata di milioni di euro azioni italiane detenute da altri fondi cinesi privati, ne fa ufficialmente il decimo investitore estero a Piazza Affari in una classifica ancora dominata dai grandi fondi americani come Blackrock.L’aspetto più rilevante è però un altro e cioè la velocità con cui la Cina è balzata su questo gradino del podio. Solo un anno fa, al 30 settembre 2013, il valore delle partecipazioni di società quotate a Piazza Affari era di appena 11 miliardi di euro e il suo posto nella classifica dei Paesi esteri investitori alla Borsa di Milano era ben oltre la 40esima posizione ma dal 2014 è cambiato il vento. Un “grande balzo in avanti” verrebbe da dire citando Mao Tse-Tung.
Il piazzamento in classifica così come emerge dai dati di S&P Capital IQ si basa solo sulle partecipazioni direttamente detenute dalla Repubblica Popolare senza contare quelle indirettamente detenute. Ad esempio non tiene conto del 35% di Cdp Reti (la holding del Tesoro che controlla Snam e Terna) che Pechino ha rilevato quest’anno attraverso la State Grid Corporation.
