Crescita fino al 2006, poi la caduta rovinosa innescata dalla grande crisi dei debiti sovrani, esplosa con il contagio partito dalla finanza americana malata di mutui subprime. Infine la risalita, ma non per tutti. Men che meno per l’Italia. Che anzi è l’unico tra i nove Paesi dell’area euro presi in esame (il Regno Unito, com’è noto, è nell’Unione europea ma ha conservato gelosamente la propria moneta) a non mostrare segni di ripresa. Sono dati noti, è vero, ma vederli espressi in un confronto così nitido rende ancora più evidente la difficoltà strutturale in cui versa l’economia italiana.
I numeri non mentono e, se negativi, dovrebbero preoccupare anche quando sono attesi. Soprattutto quando le stime dicono, universalmente, che non andrà molto meglio, in futuro. Né, giunti al non lusinghiero traguardo del tredicesimo trimestre senza crescita, si può indulgere nel refrain del mal comune.
Perché l’economia viaggia al minimo anche nell’Eurozona, ma è altrettanto vero che, come certificato da Eurostat, l’Unione monetaria mostra un timido segno positivo davanti allo zero virgola del Pil registrato nei primi nove mesi del 2014: +0,2%, ad essere precisi. E poi crescono tutti, nel trimestre e nell’anno, tranne Italia e Cipro, unico (piccolo) Paese a fare peggio di noi. Perfino la disastratissima Grecia (reduce da un tragico -24% dall’inizio della crisi del a oggi) è passata in territorio positivo da tre trimestri in qua.
Anche se quando facciamo certi confronti non dobbiamo mai dimenticare gli ordini di grandezza, per esempio il rapporto fra il Pil di Italia e Grecia e quanto la forbice si sia allargata negli ultimi anni, nonostante gli ultimi segnali positivi da Atene.
Ovviamente non è il confronto con la Grecia a poterci consolare. Soprattutto se diamo uno sguardo al grafico dinamico qui sotto. Dal quale emerge in tutta la sua crudezza che il decennio perduto l’Italia (gli anni in realtà sono 14), se il cambiamento di verso resta uno slogan, non rischia di averlo solo davanti a sé. Dal 2000 ad oggi, è un fatto, siamo gli unici ad avere visto diminuire la ricchezza prodotta.
La Francia, che pure non se la passa benissimo e nel 2014 sfonderà il tetto del 3% del deficit veleggiando verso il 4,5%, ha visto crescere il Pil reale (dei primi nove mesi) da 1.771 a 2.060 miliardi. La Germania da 2.156 si è spinta oltre i 2.500. La Spagna ci tallona, essendo salita da 852 a 1.028 miliardi. Scorrendo il grafico, poi, non si può non notare il sorpasso (ormai datato 2005) della Gran Bretagna. E perfino Atene può dire di non essere arretrata, nonostante tutto.