Alloggi quasi raddoppiati in Italia, a quota 89mila, con un eloquente +92% tra settembre 2013 e 2014. Prime città Roma, Milano e Firenze. Italia terza nel mondo per offerta dopo Stati Uniti e Francia. Sono strabilianti i numeri di Airbnb, il sito – nato nel 2008 a San Francisco – che permette a privati di affittare appartamenti o stanze per brevi periodi.
Airbnb conta in tutto il mondo già 800mila alloggi (quindi l’Italia è una bella fetta, oltre il 10%), in 34mila città e 190 Paesi. Erano 600mila appena sei mesi fa. Gli ospiti hanno raggiunto i 26 milioni (media di 1 milione al mese nel 2014). La crescita dei ricavi, stimati nel 2013 a 250 milioni di dollari (ma il traguardo ambizioso è il miliardo), è esponenziale. La capacità di attrarre finanziamenti da fondi di venture capital ha spinto la valutazione della società a 10 miliardi di dollari.
È possibile visualizzare la potenza di fuoco di Airbnb. Tom Slee, ricercatore e blogger canadese, ha utilizzato lo scraping – una tecnica di estrazione dei dati – per creare mappe di grande impatto con l’applicazione Fusion Tables. Slee le ha pubblicate sul suo blog Whimsley e ha realizzato per Info Data Blog la mappa Airbnb di Milano
e quella di Roma.
Gli alloggi sono segnalati con colori diversi a seconda del prezzo, in una scala che va dai più cari, in rosso (oltre 200 euro a notte), passando per quelli in giallo (150-200), verde (100-150), blu (75-100), fino a quelli più economici (viola, sotto i 75 euro).
Sorprende non poco anche il confronto tra Airbnb e il sistema ricettivo tradizionale. A Milano il portale fondato da Brian Chesky, Nathan Blecharczyk e Joe Gebbia può contare già su circa 7mila alloggi (Slee calcola che siano per due terzi appartamenti e per un terzo singole camere) contro le 32mila camere degli alberghi a 3, 4 e 5 stelle (fonte Istat, gennaio 2014). A Roma a fronte dei ben 13.500 alloggi dichiarati da Airbnb (di cui il 65% appartamenti e il 34% stanze in affitto) l’offerta alberghiera è di 54.662 camere a 3, 4 e 5 stelle. A Firenze gli alloggi Airbnb sono più di 5.400 contro 18.024 camere d’albergo.
Airbnb addebita una commissione del 6-12% ai guest (i viaggiatori) e del 3% agli host (i proprietari). Il punto controverso, quel che il sistema alberghiero contesta, è che questi ultimi operano (nel 29% dei casi a Roma anche con più di un appartamento, mentre a Milano gli host con annunci multipli non superano il 14%) senza doversi sobbarcare gli aspetti spiacevoli del mestiere: dalle spese per lo smaltimento dei rifiuti, al rispetto delle norme sulla sicurezza, ai costi del personale. All’ancor meno gradevole capitolo fisco.
In Italia il legislatore comincia solo adesso a mettere in cantiere una rilettura delle regole che non neghi nuove opportunità alle aziende della sharing economy come Airbnb (fra le più note c’è anche la molto discussa Uber), ma neppure avalli la logica del fatto compiuto per attori che grazie alle piattaforme informatiche operano su scala globale.
Resta, per ora, l’indubbio vantaggio competitivo, osteggiato anche nella patria di Airbnb, gli Stati Uniti. Il procuratore generale di New York, Eric Schneiderman ha indagato per mesi sul fenomeno, pubblicando lo scorso ottobre un dossier relativo al periodo 2010-2014. Nel documento Schneiderman parla esplicitamente di “proliferazione di hotel illegali”. Sarebbe tale il 72% delle 25mila unità immobiliari analizzate (per quasi 21mila host).
Particolare interessante: il proprietario con il numero maggiore di appartamenti nella Grande Mela ha messo a disposizione dei viaggiatori di tutto il mondo 272 unità, con ricavi pari a 6,8 milioni di dollari.