I dati sono del 2012 ma la sorpresa è che le nostre multinazionali non investono necessariamente nei paesi dove il costo del lavoro è più basso. Cade un luogo comune che vorrebbe le imprese italiane in fuga a caccia di stipendi più bassi. A influire sulle scelte di investimento contano anche altri fattori come ad esempio il tessuto produttivo, le competenze e il valore del capitale umano. Conta quindi, se vogliamo usare uno slogan, l’ecosistema.
Nel periodo 2013-2014, sia nell’industria sia nei servizi, scrive Istat, la principale motivazione per realizzare nuovi investimenti all’estero è l’accesso a nuovi mercati. La riduzione del costo del lavoro è al terzo posto nell’industria, preceduta dall’aumento della qualità e sviluppo di nuovi prodotti.
L’obiettivo primario dei nuovi investimenti è la produzione all’estero di merci e servizi, ma anche la distribuzione e logistica e il marketing, vendite e servizi post vendita hanno un ruolo importante nelle scelte delle multinazionali sia nell’industria sia nei servizi.
Quanto ai numeri e alle dimensioni, come spiega bene l’Istat, nel 2012, la presenza delle multinazionali italiane all’estero si conferma rilevante e geograficamente diffusa: 21.830 controllate in 160 paesi impiegano oltre 1,7 milioni di addetti e fatturano 546 miliardi di euro.
Rispetto al 2011, il numero delle affiliate italiane all’estero risulta solo di poco aumentato (+148 unità), mentre si rileva un’espansione in termini di addetti (+3,3%), di fatturato (+7,1%) e, con l’esclusione delle attività finanziarie e assicurative, di fatturato al netto di acquisti in beni e servizi (+5,7%).
Nel biennio 2013-2014 si conferma la tendenza verso una crescente internazionalizzazione del sistema produttivo italiano, trainata dai principali gruppi multinazionali e più accentuata nei servizi (il 63,5% ha dichiarato di avere realizzato o programmato nuovi investimenti all’estero) che nell’industria (54,1%). È rilevante anche il ruolo dei gruppi multinazionali di medio-grande dimensione nell’attivazione di nuovi investimenti (27,0% nell’industria e 24,7% nei servizi).
Altro dato che trova conferma è la quota crescente di fatturato delle nostre imprese. Al netto dei servizi finanziari, realizzano all’estero un fatturato pari al 14,8% di quello complessivamente prodotto dalle imprese residenti in Italia, quota che sale al 18,1% al netto degli acquisti di beni e servizi
Come si evince dell’infografica si va oltre confine nei settori dell’estrazione di minerali da cave e miniere, della fabbricazione di autoveicoli, della fabbricazione di articoli in gomma e materie plastiche e fornitura di energia elettrica e gas.
Le affiliate italiane all’estero destinano circa un quarto del loro fatturato alle vendite su mercati diversi dal paese di localizzazione.
E’ considerevole la quota di fatturato esportato verso l’Italia da parte delle controllate italiane all’estero attive nei settori tradizionali del Made in Italy: industrie tessili e confezione di articoli di abbigliamento (51,2%), fabbricazione di articoli in pelle (42,2%) e fabbricazione di mobili e altre industrie manifatturiere (24,9%).
In termini di addetti, gli Stati Uniti sono il principale paese di localizzazione sia delle attività industriali (quasi 124 mila) sia dei servizi (quasi 102 mila).
Fonte: Istat. Dataviz: Andrea Gianotti.