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economia

Essere mamma oggi: come cambia il lavoro prima e dopo la nascita di un figlio

La condizione delle madri lavoratrici
La condizione delle madri lavoratrici

Prima due premesse.

Prima premessa: per rispondere alla domanda:”Come cambia il lavoro prima e dopo la nascita di un figlio” non serve l’Istat. L’istituto di statistica ha condotto tre edizioni dell’indagine campionaria sulle nascite e le madri, intervistando le donne che hanno avuto un figlio nel 2000/2001, nel 2003 e nel 2009/2010, con l’obiettivo di contribuire alla comprensione delle dinamiche più recenti dei comportamenti riproduttivi, anche in relazione con la crescente partecipazione femminile al mercato del lavoro registrata negli anni 2000.

Per comprendere quanto sia complicata la vita di chi ha un figlio (o due, o tre) non servono grafici. Basta buon senso, osservazione e la conoscenza diretta. Il mito delle donne alfa in grado di supplire alle mancanza dell’eventuale marito e occuparsi di tutto, lavoro, scuola, casa e figli con efficienza e profitto si è appannato. I numeri, certo, non raccontano le fatiche quotidiane e le rinunce. Tracciano le scelte, registrano le decisioni.  E questo ci basta per avere le idee un po’ più chiare, al di là dei soliti falsi miti.

Seconda premessa, più tecnica: il fenomeno della contrazione delle nascite ha riguardato solo marginalmente il primo figlio: almeno fino alle coorti di donne nate nella seconda metà degli anni ’60, circa 4 donne su 5 non hanno rinunciato ad avere almeno un figlio.

Ciò premesso negli ultimi anni, dopo il 2000, e in particolare con l’inizio della crisi del 2008, la condizione delle mamme è notevolmente peggiorata. Oltre al buon senso lo dicono i numeri.Si inizia.

Nel 2012, oltre il 22 per cento delle madri occupate all’inizio della gravidanza, non lo è più al momento dell’intervista, ossia a circa due anni dalla nascita del bambino. Il 42,8 per cento di quelle che hanno continuato a lavorare dichiara di avere problemi nel conciliare l’attività lavorativa e gli impegni familiari.

Considerando il complesso delle madri, quasi la metà risulta occupata (48,8 per cento) tra il primo e il secondo riferimento temporale; il 33,2 per cento si dichiara non occupata in entrambi i momenti, mentre il 14 per cento delle madri che lavoravano all’epoca della gravidanza non lavora più a distanza di circa 2 anni dalla nascita del bambino. Questa proporzione sale al 22,4 per cento se al denominatore si considerano le donne occupate in gravidanza, invece del totale delle intervistate, ed esprime il rischio di non avere più un lavoro a circa due anni dalla nascita di un figlio. Questo indicatore nel 2012 è più alto rispetto a quello delle precedenti edizioni dell’indagine, superando di quattro punti percentuali quello del 20052 ed è in controtendenza rispetto alla diminuzione registrata tra l’edizione 2000 (20 per cento) e il 2005 (18 per cento).

Il rischio di lasciare o perdere il lavoro è particolarmente influenzato sia dall’area di residenza delle madri che dal numero di figli avuti. Risiedere al Nord o al Centro comporta un minor rischio, mentre le madri del Sud risultano decisamente più svantaggiate, soprattutto se sono al primo figlio.

Il rischio di non lavorare più dopo la nascita di un figlio aumenta per le famiglie più vulnerabili, in cui il partner non è occupato oppure è occupato con una bassa posizione nella professione

Entrando nello specifico dell’Info, abbiamo scelto alcuni indicatori. Più della metà delle madri ha dichiarato di non lavorare più perché si è licenziata o ha interrotto l’attività che svolgeva come autonoma (52,5 per cento); quasi una madre su quattro ha subito il licenziamento, mentre per una su cinque si è concluso un contratto di lavoro o una consulenza; il 3,6 per cento dichiara di essere stata posta in mobilità.

 

Analizzando i motivi per lasciare il lavoro che la donna svolgeva in gravidanza si osserva che, rispetto al 2005, diminuiscono le madri che riferiscono motivazioni riconducibili a difficoltà di conciliazione dei ruoli (dal 78,4 per cento al 67,1 per cento), mentre aumentano quelli riconducibili all’insoddisfazione per il tipo di lavoro svolto sia in termini di mansioni che di retribuzione (dal 6,9 per cento al 13,5 per cento).

 La difficile conciliazione degli impegni lavorativi con quelli famigliari. 

L’indagine ha permesso di analizzare se e come le donne occupate con almeno un figlio nel 2009/2010 riescono a conciliare i propri impegni lavorativi con quelli familiari, descrivendo le forme di aiuto di cui prevalentemente si avvalgono per la cura dei bambini. Selezionando quindi le madri occupate al momento dell’intervista (52,8 per cento del totale delle madri intervistate), a livello complessivo il 42,7 per cento di loro  ha segnalato che esistono aspetti del proprio lavoro che rendono loro difficile conciliare impegni lavorativi e familiari. A riferire maggiori difficoltà sono le madri italiane in coppia con italiani residenti al Centro (46,8 per cento) mentre la ripartizione più critica per le straniere è il Mezzogiorno, dove ad avere difficoltà sono il 47,1 delle straniere in coppia con italiani e il 49,0 per cento di quelle in coppia con stranieri.

Chi si occupa dei bambini quando i genitori lavorano? 

Il 92,8 per cento delle madri che hanno avuto un figlio nel 2009/2010 e che lavorano lo affidano a servizi o persone che si occupano di lui/lei mentre loro sono al lavoro. La maggior parte di madri di nati nel 2009/2010 si rivolge alle reti di aiuto informale (il 51,4 per cento dei nati al di sotto dei due anni è accudito dai nonni), mentre il 37,8 per cento frequenta un asilo nido; la baby sitter viene scelta come modalità di affido prevalente solo nel 4,2 per cento dei casi.

Chi sceglie (o è costretto) a non affidare i figli all’asilo nido

A tutte le madri occupate dei bambini nati nel 2009/2010 che non frequentano un asilo nido è stato chiesto se avrebbero preferito questa soluzione e, in caso affermativo, perché non abbiano potuto dar seguito alle loro preferenze. Il 29,7 per cento delle madri lavoratrici ha dichiarato che, in realtà, avrebbe voluto che il figlio frequentasse un asilo nido; tale quota sale al 63,8 se l’affido prevalente delle madri è costituito da amici o conoscenti e al 41,8 nel caso di altri familiari. Inoltre, si sono espresse in questa direzione il 51,2 per cento delle donne straniere in coppia con stranieri contro il 28,7 per cento delle coppie di italiani. Le madri che vorrebbero fare uso dei servizi all’infanzia, ma che non hanno potuto, dichiarano più frequentemente come motivo principale “la retta troppo cara” (il 50,2 per cento) e la “mancanza di posti” (il 11,8 per cento)