Sono in tutto 240 i siti internet che fanno capo al Governo. Una galassia di finestre online che comprende 154 indirizzi web con l’estensione gov.it registrati presso l’Agenzia per l’Italia digitale dal 2002 a oggi (di cui 64 risultano inattivi) e 87 siti tematici richiamati tramite link diretti sui portali istituzionali. I titolari di questi domini sono la presidenza del Consiglio (inclusi i suoi dipartimenti, come quelli dei ministri senza portafoglio) e i vari ministeri.
Un esempio per tutti: una decina di domini web si sono alternati nel corso degli anni per comunicare lo stato di avanzamento delle riforme. Risale al giugno 2005, sotto il terzo governo Berlusconi, la registrazione di attuazioneprogramma.gov.it (non più attivo). Sempre la sua presidenza, ma nella legislatura successiva, ha battezzato il quasi omonimo attuazione.gov.it. A seguire si è preferito puntare su programmazioneconomica.gov.it, poi su programmagoverno.gov.it, riformeistituzionali.gov.it, riforme.gov.it, attuazioneriforme.gov.it e così via: tutti domini che fanno capo a Palazzo Chigi, ma non più accessibili. Fino al più recente passodopopasso.italia.it lanciato dal premier Matteo Renzi per scandire il countdown dei famosi “mille giorni” di riforme (che oggi, con 169 giorni già consumati alle spalle, ancora ospita in basso a destra nella homepage la scritta “versione beta”).
Al ritmo sincopato della politica, e sulle onde delle diverse legislature, il cittadino naviga da un sito internet all’altro trovando spesso contenuti simili, già promossi in passato su altre piattaforme.