La diseguaglianza italiana, con l’incedere della globalizzazione, cresce. E non cresce mai per buone ragioni. Cresce sempre per i motivi più deteriori. La diseguaglianza italiana, dagli anni Ottanta, aumenta. E, in questa dinamica, si coglie il profilo di un Paese bloccato. Nella parte del rapporto che la Fondazione David Hume dedica specificatamente all’Italia, si notano le demarcazioni territoriali nette che quantificano – in misura drammatica – le distanze fra Sud e Centro Nord.
Confrontato con la media Ocse di 0,35 nel 2013, il valore italiano dell’indice di Gini di 0,33 non dovrebbe preoccupare. È interessante però notare la forte oscillazione che ha caratterizzato il Paese, che vedeva un valore tra lo 0,37 e lo 0,30 negli anni Settanta, tornando a crescere negli anni Ottanta e stabilizzandosi intorno allo 0,34 dagli anni Novanta in avanti, dopo un breve picco al di sotto dello 0,30. Se si considerano le ripartizioni geografiche, si nota un netto divario tra Mezzogiorno e Centro-nord, con un coefficiente di disparità sempre più alto nel Sud Italia, fatta eccezione per la fine degli anni Sessanta e nel 1980.
Le difficoltà economiche e sociali del Paese si notano soprattutto nelle famiglie: nel 2002 la percentuale di famiglie che usavano risparmi o contraevano debiti era pari a 5. Nel 2013 tale valore ha toccato il suo massimo storico (33,5%), dato in decrescita ma ancora molto significativo (29,7% nel 2015).
Da Il Sole 24 ORE del 26 aprile 2015, pagina 5.