Dieci anni, dal 2003 al 2013, che hanno cambiato il tessuto imprenditoriale italiano: la crisi dilagante, che ha tagliato ordinativi e forza lavoro, ha eroso la capacità di innovare, in particolare in Lazio, Lombardia e Piemonte. In queste regioni il numero di brevetti e marchi registrati all’anno è notevolmente calato (-30% in media), come naturale effetto della ridotta competitività delle grandi industrie attive sul territorio. Al contrario, le aziende delle province italiane più “periferiche” hanno puntato tutto sullo scatto in avanti: l’Emilia Romagna ha toccato quota 144 brevetti registrati ogni 100mila abitanti (meno dei 172 della Lombardia, ma più dei 139 del Lazio); nelle Marche le idee “brevettate” sono salite da 35 a circa 122; in Toscana da 26 a 106; in Friuli Venezia Giulia da 39 a 100. A dirlo sono i dati del ministero dello Sviluppo Economico, elaborati nella mappa dell’innovazione italiana rappresentata dall’Infodata del Lunedì (qui e sul quotidiano in edicola il 18 maggio).
I dati di brevetti e marchi registrati, così come quelli di tutti gli altri indicatori, sono riferiti a quelli registrati nel 2003 e 2013 (sono incluse le invenzioni, i marchi, i disegni e i modelli di utilità – dati Uibm). Il numero di start up, invece, è riferito al solo aggiornamento più recente (a marzo 2015), essendo un fenomeno inesistente dieci anni fa.
I brevetti, però, raccontano solo in parte il livello tecnologico delle nostre industrie: l’Italia, dopo anni di opposizione periferica, solamente la scorsa settimana ha sottoscritto l’accordo per adottare il «brevetto unitario europeo» che, grazie a una disciplina internazionale e a un sistema giurisdizionale unico, dovrebbe garantisce una protezione semplificata delle invenzioni sul territorio europeo, con una procedura che ridurrà in modo sostanziale i costi di traduzioni e spese legali; finora la capacità del sistema produttivo di tutelare l’innovazione era vincolata alle possibilità economiche.
A raccontare l’evoluzione delle imprese sono anche i dati di marzo 2015 sulle start up innovative, con incidenze sopra la media (rispetto al totale delle società di capitale) anche in Calabria e Trentino-Alto Adige. Stupisce, infine, il tasso percentuale di imprese industriali e dei servizi con più di 10 addetti che dispongono di un sito web: nel 2003 erano meno della metà, oggi circa sette su dieci ma con ben dieci regioni dove più del 40% delle aziende sono ancora offline.
Il secondo grafico, infine, consente di mettere in relazione tra loro alcuni parametri che raccontano l’attitudine e la predisposizione delle imprese a innovare (come l’utilizzo di fonti rinnovabili per i consumi energetici oppure la capacità di esportare delle imprese). Ad esempio, più elevata è la presenza di laureati in materie scientifiche e tecnologiche ogni 100mila abitanti, e più sono i brevetti registrati, maggiore è la presenza di start up sul territorio. Basta osservare la grandezza della “circonferenza” che rappresenta la Lombardia, l’Emilia-Romagna e il Lazio.
elaborazione dati: @michelafinizio – Dataviz: @andreagianotti