Quasi un lavoratore immigrato su tre in Italia vive in condizioni di povertà relativa. Il dato è contenuto nel rapporto Ocse intitolato `Indicators of Immigrant Integration 2015´ nel quale si sottolinea che «l’elevata incidenza di posti di lavoro di bassa qualità tra i lavoratori immigrati li espone anche ad un elevato rischio di povertà». Per via delle loro competenze relativamente basse, ma anche a causa della mancanza di riconoscimento delle loro qualificazioni, sottolinea l’Ocse, i migranti impiegati in Italia occupano spesso posti di lavoro di bassa qualità.
Sui figli degli immigrati. Come detto l’elevata incidenza di posti di lavoro di bassa qualita’ espone i lavoratori immigrati anche a un alto rischio di poverta’: quasi un lavoratore immigrato su tre vive in condizioni di poverta’ relativa. Le difficolta’ d’integrazione iniziano in tenera eta’: in Italia. , si legge su Radiocor, i tassi di frequenza prescolare sono 10 punti percentuali inferiori tra i bambini che vivono in una famiglia di immigrati rispetto ai bambini che vivono in una famiglia autoctona ed è un divario maggiore che nel resto dei paesi Ocse. La maggior parte dei figli di immigrati in Italia ha genitori con un basso livello di istruzione e questo ha un impatto negativo nel rendimento scolastico. Nel 2012, secondo il Programma per la Valutazione Internazionale degli studenti (indagini triennali PISA), gli studenti immigrati sono quelli che hanno ottenuto i risultati meno soddisfacenti, sia rispetto agli standard internazionali che nei confronti dei nativi. A 15 anni, i figli di immigrati in Italia hanno un anno scolastico di ritardo rispetto ai figli dei nativi in termini di competenze reali e la situazione non e’ migliorata negli ultimi dieci anni. Il tasso dei giovani tra i 15 e i 34 anni ‘Neet’ (ne’ a scuola, ne’ al lavoro) arriva al 38% tra i giovani immigrati arrivati da adulti (13 punti in piu’ circa rispetto ai nativi), ma si riduce al 27,6% per quelli che sono invece arrivati da bambini. L’accesso alla cittadinanza e’ tra i piu’ bassi dell’Ocse, con meno di due su cinque migranti stanziali naturalizzati, rispetto a una media del 62% e al 58% nell’Unione Europea.
L’occupazione degli immigrati in Italia. Con un tasso di occupazione complessivo del 59% (dal 65% nel 2006-7), gli immigrati in Italia, scrive Radiocor, sono più propensi a lavorare rispetto alla popolazione nativa che ha tasso di occupazione del 56%. Gli immigrati di sesso maschile sono stati tuttavia particolarmente colpiti dalla crisi economica. Il loro tasso di occupazione e’ diminuito dall’82% nel 2006-07 al 70% nel 2012-13, con un calo di 12 punti percentuali doppio rispetto agli italiani, il cui tasso di occupazione e’ sceso di meno di 6 punti. La perdita di posti di lavoro e’ stata meno pronunciata tra le donne immigrate, il cui tasso di occupazione e’ sceso di un solo punto, ma la qualita’ del loro lavoro e’ peggiorata perche’ i posti sono piu’ instabili e precari. La meta’ degli immigrati in Italia ha un basso livello d’istruzione, il tasso piu’ alto dell’Ocse (mentre la Penisola e’ all’ultimo posto per il tasso degli immigrati altamente istruiti) e la scarsa conoscenza della lingua italiana impedisce a molti di loro di accedere a lavori piu’ qualificati. Generalmente per le loro competenze relativamente basse, ma anche a causa della mancanza di riconoscimento delle loro qualificazioni, i migranti in Italia occupano spesso posti di lavoro di bassa qualita’. E’ quello che avviene per un quarto degli uomini e piu’ di un terzo delle donne. Ma anche il tasso di sovraqualificazione tra i lavoratori immigrati (cioe’ coloro che occupano posti di lavoro che richiedono qualificazioni inferiori a quelle possedute) e’ elevato nei confronti dei nativi ed e’ il secondo piu’ alto del’area Ocse, dopo avere segnato il maggiore incremento negli anni della crisi. Piu’ della meta’ dei lavoratori immigrati altamente qualificati erano sovraqualificati nel 2012-13, 12 punti percentuali in piu’ rispetto al 2006-07 e cio’ a fronte di appena il 15% dei nativi. La situazione e’ particolarmente grave tra gli extracomunitari, con tassi di sovraqualificazione che raggiungono il 70-80%
Il caso italiano. Un quarto degli uomini migrati e più di un terzo delle donne occupa posti di lavoro poco qualificati ma il tasso di sovraqualificazione tra i lavoratori migranti “è particolarmente elevato sia rispetto agli standard internazionali che nei confronti dei nativi. Più della metà dei lavoratori immigrati altamente qualificati erano sovraqualificati nel 2012-13, 12 punti percentuali in più rispetto al 2006-07, e ciò a fronte di appena 15% dei nativi. La situazione è ben più grave per i migranti con titoli di studio stranieri e per gli extracomunitari, con tassi di sovraqualificazione che raggiungono il 70-80%. Tuttavia rileva l’Ocse «la metà degli immigrati in Italia possiede un basso livello d’istruzione«e «le scarse competenze linguistiche nella lingua italiana impediscono a molti di loro di accedere a lavori più qualificati». Inoltre, osserva il rapporto, «sembrerebbe che gli arrivi più recenti abbiano migliori esiti occupazionali, probabilmente perché più inclini a lasciare l’Italia se non trovano un posto di lavoro». A differenza della maggior parte dei paesi dell’Ue, rileva ancora l’Ocse, gli extracomunitari non sono gli unici ad avere un elevato rischio di povertà. Infatti, tra i paesi europei solamente in Italia e in Spagna gli immigrati comunitari hanno un rischio di povertà simile rispetto ai loro coetanei extracomunitari, in gran parte a causa della composizione degli immigrati comunitari.
La quota di immigrati. Negli ultimi 10 anni, l’Italia, rileva l’organizzazione internazionale, è stata una delle principali destinazioni per gli immigranti nell’area Ocse. Dal 2000, la percentuale di immigrati sul totale della popolazione è più che raddoppiata, fino a raggiungere il 10% nel 2012 che resta comunque una delle più basse dell’Ocse (il 23esimo su 34 Paesi), a un totale di 5,7 milioni. La maggior parte dei migranti arriva in Italia per lavorare, anche se il primo permesso viene spesso ricevuto nell’ambito di una regolarizzazione. La maggior parte di questi nuovi immigrati, sottolinea ancora l’Ocse, «non intende rimanere in Italia, né arriva in Italia attratta dalle opportunità di lavoro, che rimangono tuttora limitate dato che il paese sta cominciando solo ora a riprendersi dalla profonda crisi».