Due sono le sfide che il tessile italiano sta affrontando, deciso a non fare la fine di quello inglese o francese, scomparsi da decenni. Da un lato la strada sempre più spinta dell’innovazione (di prodotto e di processo). Dall’altro la ricerca spasmodica di manodopera qualificata e specializzata. L’urgenza della metamorfosi è dettata dai numeri. L’Isfol – nel report sui fabbisogni occupazionali dedicato al settore – sottolinea come il peso del tessile-abbigliamento sul Pil nazionale sia passato dal 3% circa dei primi anni 90 all’1,7% attuale. Mentre l’occupazione è scesa da «quasi 1,1 milioni di addetti» nel 1992 ai meno di 405mila di fine 2015, secondo le previsioni di Sistema Moda Italia (Smi) e Liuc (Università Cattaneo di Castellanza). La soglia psicologica dei 500mila occupati è stata abbattuta, in negativo, da tempo. E la scrematura non è finita: il rapporto Excelsior Unioncamere indica una contrazione media annua superiore al 3% per il tessile-abbigliamento-pelle fino al 2017.
Nonostante il fatturato dell’industria italiana del tessile-moda sia cresciuto dal 2009 di quasi 6 miliardi di euro, il numero degli addetti del settore è diminuito notevolmente, passando dai 482.300 addetti nel 2009 ai 406.400 nel 2014 (e si prevede che si possa scendere a 404.800 entro la fine del 2015). L’industria del tessile resta comunque uno dei settori con la domanda di sostituzione più alta (quantificata in circa 12.000 unità l’anno), anche se non è detto che i posti liberati corrispondano poi a nuove assunzioni, visto che spesso le aziende colgono il pensionamento dei dipendenti come un’occasione per ridurre i costi del personale
Tratto da Il Sole 24 ORE del 15/09/2015, pagina 12