In Italia le retribuzioni sono legate in modo rigido all’età anagrafica, tanto che l’anzianità costituisce di per sé un premio per il lavoratore – nei contratti collettivi lo stipendio cresce con gli anni – senza tenere conto della effettiva necessità di potere d’acquisto di ciascuna fascia anagrafica. È la conclusione di una analisi realizzata da Umana in collaborazione con JobProcing su un campione di 140mila lavoratori assunti con forme di lavoro dipendente nei diversi settori: sotto la lente la Ral (retribuzione annuale lorda), escluse le parti variabili. La composizione del mercato del lavoro vede per la prima volta tre generazioni attive contemporaneamente: i Baby boomers (nati fra il 1946 e il 1964, over 55); la Generazione X (fra il 1965 e il 1980, dai 35 ai 54 anni) e la Y (dal 1981 al 2000, quindi persone fra i 15 e i 34 anni). «Rispetto al passato – si legge nell’indagine – oggi si entra nel mercato del lavoro più tardi e si termina la carriera in età più avanzata. I momenti di inizio e fine carriera hanno subito uno slittamento in avanti di 10-15 anni».
Secondo la ricerca realizzata da Umana in collaborazione con JobProcing, l’anzianità ha più peso rispetto al merito nelle buste paga dei lavoratori italiani. Il differenziale maggiore si nota negli impiegati, con un Generation Gap del 35%, mentre la differenza negli stipendi a parità di posizione diminuisce tra i dirigenti (22,6%), i quadri (17,6%) e gli operai (12,2%).
Tratto da Il Sole 24 ORE del 03/11/2015, pagina 19