Non è certo un caso che la tensione fra Renzi e le Regioni sia salita ai massimi proprio mentre si discute di misure «salva-Sicilia» e di decreto «salva-Piemonte», che al di là del titolo è in verità un più generale provvedimento «salva-Regioni». Dall’altra parte del tavolo il premier osserva giocatori in affanno, schiacciati da una spesa che negli anni si è gonfiata fino a 153 miliardi e ha moltiplicato le tasse più dei servizi. Proprio il «salva-Regioni», già saltato due volte e ieri riesaminato nella riunione tecnica di preparazione al consiglio dei ministri, è il segno più recente di un problema tutt’altro che nuovo. Il decreto non offrirebbe nuovi soldi cash, ma permetterebbe di ripianare in 30 anni i disavanzi (9 miliardi di euro secondo le stime circolate in queste settimane) che si sono aperti negli anni scorsi dalla gestione dei fondi sblocca-debiti, anticipati dal Governo per consentire alle Regioni di pagare le fatture arretrate, ma dirottati in molti casi ad aumentare gli spazi di spesa corrente.
La spesa corrente delle regioni è passata da 107.658 milioni nel 2001 a 152.970 milioni nel 2013. Gran parte delle spese regionali sono legate a personale e servizi: la spesa media italiana pro capite per il personale è di 86,4 euro e per i servizi è di 103,4 euro (media decisamente innalzata dalle spese delle regioni a statuto speciale). Particolarmente alte le spese della Sicilia per il personale (quasi 200 euro ad amministrato) superate solo dalle spese delle piccole Autonomie del Nord (Valle d’Aosta, Prov. di Trento e Prov. di Bolzano) che però svolgono anche funzioni statali, con meccanismi finanziati quasi totalmente dalle tasse che rimangono sul territorio.
Tratto da Il Sole 24 ORE del 04/11/2015, pagina 6