La percentuale di laureati in materie scientifiche e la capacità dell’ecosistema startup di attirare investimenti di venture capital. Insieme ad una bassa tassazione sulle aziende, sono questi i fattori che spingono l’export Ict. O almeno, questo suggeriscono i dati.
Per cercare di individuare quali fattori possano favorire le esportazioni nel settore dell’Information and communications technology è stato innanzitutto necessario quantificarli, utilizzando i numeri forniti da Unctad, organismo delle Nazioni unite che si occupa di commercio e sviluppo. E sulla base dei quali si evidenzia come in Europa a primeggiare siano Germania e Olanda, che nel 2014 hanno esportato beni rispettivamente per 67 e 61 miliardi di dollari. Distaccando di molto la terza forza, ovvero la Repubblica Ceca con 23 miliardi di export.
I dati sulle esportazioni Ict sono stati quindi messi a confronto con quelli contenuti nel rapporto “Contributors and detractors: ranking countries’ impact on global innovation” redatto da Itif. Uno studio che misura diversi indicatori, dalla spesa per la ricerca agli incentivi fiscali per chi investe in R&D. E con i numeri sugli investimenti in venture capital censiti da Eurostat.
Il risultato è che sono questi ultimi, insieme ad una più forte presenza di laureati in materie scientifiche, a spingere l’Ict dei singoli Paesi sui mercati internazionali. Non si tratta, ovviamente, di un rapporto di causa-effetto. Ma è pur vero che tra la prime cinque nazioni europee per le esportazioni tecnologiche, ben quattro rientrano nella top 5 degli ecosistemi start-up che hanno attirato la maggiore quota di investimenti dai “capitalisti di ventura”. Oltre a Germania e Olanda, si tratta di Francia e Regno Unito. Con Praga che fa eccezione, visto che in termini di venture capital è in fondo alla classifica, con appena 14 milioni di euro raccolti dalle aziende innovative ceche nel 2014. Berlino, Parigi e Londra primeggiano anche se si restringe il campo ai soli investimenti in fase di start-up ed early stage.
Discorso analogo, seppur in maniera minore, per lo studio delle materie scientifiche: più è alto e più sono alte le esportazioni Ict. Per quanto da questo punto di vista l’Olanda, nonostante queste facoltà “sfornino” appena il 6,2% dei laureati contro ad esempio il 12,7% del Regno Unito, riesca a colmare il gap e a mantenere alto l’export tecnologico.
Altri fattori, come gli incentivi alle aziende che investono in R&D, piuttosto che la spesa pubblica nella ricerca e nell’educazione sembrano invece incidere in maniera minore sulla capacità dei Paesi di esportare beni Ict. Valga l’esempio della Finlandia, che con i suoi 1.893 euro pro capite è la nazione che nel 2015 ha speso di più per sostenere i ricercatori. Ma che nonostante lo sforzo è al 17simo posto nella classifica dell’export di beni tecnologici.
Ultimo elemento che appare favorire le esportazioni, intuibile anche a prescindere dai dati, è rappresentato dalla tassazione sulle aziende. E da questo punto di vista l’Italia, seconda solo alla Grecia per l’imposizione fiscale, è certamente penalizzata. Ma per il resto come va il nostro Paese? È al nono posto per investimenti VC nel 2014 con 720 milioni raccolti e al 14simo per laureati in materie scientifiche, appena il 7,4% nel 2015. Il “risultato”, rappresentato dal pallino azzurro nell’infografica, sta nei poco meno di 9 miliardi di export Ict, che la collocano al nono posto in Europa.