Facciamo due conti. Gli aventi diritto sono 50,6 milioni di cittadini. Circa. Nel referendum del 2011 hanno votato in 26,8 milioni su 47,1 di milioni aventi diritto (quorum raggiunto con il 55%). Alle europee del maggio 2014 il bacino era di 49,2 milioni di elettori e sono andati a votare in 28,1 milioni. Alle politiche del 2014 hanno votato 28.991.258, circa il 57,2% dei votanti. Un anno dopo alle elezioni regionali e comunali votano in poco più del 50% (il 52% per l’esattezza). Veneto: 57,16% (precedente: 66,4%), Liguria: 50,67% (precedente: 60,9%), Umbria: 55,42%, Campania: 51,93%, Marche 49,77% (62,8%), Toscana 48,24% (precedente 60,9%), Puglia 51,15%. I motivi? Tanti: c’è il ponte del 2 giugno, c’è il Sole, voglia di mare e la crescente disaffezione dalla politica ma il risultato indica comunque un preoccupante calo. Anche le recentissime primarie (che però non fanno testo) hanno mostrato una decisa fuga dalle urne.
Ieri hanno votato 15,8 milioni di persone. In termini assoluti più della metà dei votanti alle ultime politiche e delle europee. Su un tema difficile come le concessioni petrolifere. E’ vero che le elezioni sono diverse da un referendum, che sono passati due anni e che qualcosa di importante sta accedendo all’elettorato. In ogni caso, il dato sulla partecipazione non è affatto negativo. E più che una disaffezione testimonia un ritorno di interesse. Anche su un tema caustico come quello delle trivelle