Case intelligenti, auto connesse, smart agriculture e smart city: questi i principali ambiti di azione delle startup italiane che operano nell’Internet of Things. Non sono moltissime – l’Osservatorio del Politecnico di Milano ne ha recensite una quarantina – e soprattutto non sanno attrarre nella maggior parte dei casi finanziamenti significativi. Almeno per il momento. L’ordine di grandezza degli investimenti è infatti di poche decine di milioni di euro raccolti nel complesso dalle nuove imprese della Penisola (solo una su sette è stata interessata da operazioni oltre il milione) rispetto ai diversi miliardi di dollari che hanno saputo attrarre (da investitori istituzionali ma non solo) le startup dell’Iot su scala globale, con gli Stati Uniti a fare la parte del leone grazie agli ingenti capitali investiti e alla snellezza della burocrazia che ne agevola lo sviluppo.
Il trend è comunque chiaro: i finanziamenti alle startup dell’Internet delle cose stanno crescendo sensibilmente – dal 2010 al 2014, lo dicono i dati di CB Insight, sono di fatto raddoppiati passando da 768 milioni di dollari a 1,9 miliardi – e di pari passo aumenta il numero dei deal conclusi ogni anno, che veleggiano intorno a quota 200 (e sono sempre meno catalogabili come operazioni “early stage”). A livello mondiale ci sono startup che hanno saputo fare il classico “botto” ed è il caso, per esempio, della californiana View.
L’articolo è a pagina del 31 del Sole 24 Ore del 17/05/2016