Dealroom che puntualmente segue l’andamento degli investimenti in startup rileva che nel Regno Unito sono stati investiti nei soli ultimi sei mesi circa 2,4 miliardi di dollari. In Italia nel medesimo periodo la cifra rilevata è di poco superiore ai 72 milioni di dollari. L’Italia investe oltre trenta volte meno della Gran Bretagna quando si tratta di aziende innovative. Insomma è come se si giocasse in due campionati diversi e basterebbe solo questo per spingere un qualsiasi neo imprenditore italiano a riflettere doppiamente prima di decidere dove aprire la sua azienda. Non è solo la quantità di investimenti a rendere il Regno Unito il Paese europeo più favorevole alle startup, ma anche la facilità con la quale si apre e si gestisce un’azienda, la leggerezza della burocrazia e i costi relativi. Il vero motivo che dovrebbe spingere a scegliere un Paese come la Gran Bretagna per una nuova venture dovrebbe essere soprattutto, se non esclusivamente, quello di mercato. E quando si tratta di una startup i mercati sono di due tipi: c’è il mercato a cui si vuole vendere il prodotto o il servizio e il mercato dei capitali a cui attingere per finanziarsi e crescere più rapidamente. Sul secondo, come visto, non c’è partita quando i numeri si fanno importanti è solo sui grandi mercati finanziari globali che è possibile agganciare i grossi investitori i quali preferiscono puntare su aziende che operano in un regime fiscale, legale, burocratico che conoscono. Sul primo invece se si vuole, almeno all’inizio, vendere a consumatori italiani è più efficace, oltre che legalmente sostenibile, avere l’azienda in Italia. Questo sia perché si opera nel proprio mercato di riferimento, sia perché si evitano il rischi della cosiddetta “esterovestizione” che in pratica è la fittizia localizzazione all’estero della residenza giuridica di un’azienda che opera in Italia, allo scopo di godere di un regime fiscale più vantaggioso. Qui la versione online.
L’articolo è apparso a pagina 31 del Sole 24 Ore del 14 maggio 2016.