Il picco più in basso lo si è toccato a Giarre, in provincia di Catania, dove appena il 28,89% degli elettori si è recato alle urne. Ma in generale in tutta la Sicilia si è votato poco, con una media del 34,46%. Alle ore 23 di domenica 19 giugno, orario di chiusura dei seggi, la percentuale complessiva degli elettori che si è recata alle urne è stata del 50,54% (gli elettori chiamati al voto sono stati 8.610.142). Specchio di una tendenza nazionale che ha visto ai seggi appena il 52,67% degli aventi diritto. Come a dire che i 121 nuovi sindaci eletti ieri è stato scelto solamente da un cittadino su due. Sì, 121 e non 126 perché cinque comuni non sono andati al ballottaggio, ma hanno dovuto ripetere le elezioni dopo un clamoroso pareggio al primo turno: si tratta di Civita d’Antino e Ortucchio in provincia di L’Aquila, Casina (Reggio Emilia), Ardenno (Sondrio) e Narzole (Cuneo).
Il punto, a guardare i dati dell’affluenza forniti dal ministero dell’Interno, è che agli italiani il ballottaggio non piace più. Sarà la crescente sfiducia nei confronti della classe politica, il fatto che a centrosinistra e centrodestra si sia aggiunto un altro polo formato dal M5S che di fatto “esclude” dal ballottaggio un terzo degli elettori, ma la chiamata alle urne per il secondo turno non ha più il richiamo di una volta. Negli anni Novanta, tra la turbolenta fine della prima Repubblica e la nascita della seconda, il ballottaggio riusciva a portare alle urne anche il 75,95% degli elettori, come avvenne ad esempio nel 1995. E se negli anni Duemila superare il 60% era la regola, negli anni Dieci del nuovo millennio la disaffezione degli elettori verso le urne comincia a farsi sentire sempre più pesantemente.
Emblematico il caso di Roma. Quando nel 1993 si trattò di scegliere tra Francesco Rutelli e Gianfranco Fini, il 79,85% degli elettori della capitale votarono al ballottaggio. Alle elezioni che ieri hanno consacrato Virginia Raggi primo sindaco a Cinque Stelle della capitale l’affluenza è stata del 50,19%. E anche a Milano Beppe Sala ha vinto in un voto che ha portato alle urne il 51,8% degli elettori meneghini. Solo cinque anni fa, al secondo turno tra Giuliano Pisapia e Letizia Moratti, andò a votare il 67,38% dei milanesi.
Ancora, Torino: quando nel 2001 venne eletto per la prima volta Sergio Chiamparino, l’affluenza tocco il 71,40%. Ieri non si è andati oltre il 54,41%. Il risultato peggiore, in termini di partecipazione al voto, lo si è avuto però a Napoli, dove De Magistris può festeggiare sì la rielezione, ma non può dimenticare che alle urne ci è andato appena il 35,97% degli elettori. Cinque anni fa, quando ottenne il primo mandato, l’affluenza superò il 50%. Chiudendo il conto delle grandi città anche a Bologna, che dal 1993 ad oggi solo in tre occasioni è andata al ballottaggio, la partecipazione al secondo turno è stata del 53,16%, mentre nelle due precedenti occasioni venne sempre superato il 60%. Tutti numeri che dicono che agli italiani quella di tornare a votare due settimane dopo il primo turno è una prospettiva che piace sempre meno.