Cittadinanza digitale significa prestare attenzione all’altro versante dell’e-government, che da una parte vuole portare la pubblica amministrazione a sposare le nuove tecnologie e ad abbandonare la carta, ma dall’altra deve mettere la collettività nella condizione di poterne usufruire. Dunque, cittadini e imprese devono avere il diritto di accedere con semplicità ai servizi online della Pa, innescando in tal modo un circolo virtuoso che eviti agli utenti le defatiganti file agli sportelli e agli uffici consenta di risparmiare tempo e soldi, a cominciare da quelli della carta.
Il sistema impone, però, una profonda riorganizzazione e il nuovo decreto si muove in questo senso, allineando il Cad alle nuove esigenze e coordinandolo con le regole europee. Non si parte da zero, visto che i due elementi portanti del diritto alla cittadinanza digitale sono già operativi, seppure ai primi passi. Si tratta dello Spid (il Sistema pubblico di identità digitale), che consente di accedere ai servizi della Pa con un pin unico, e dell’Anpr, ovvero l’Anagrafe nazionale della popolazione residente. Lo Spid ha debuttato a marzo e ora cerca lentamente di farsi spazio: secondo gli ultimi dati, i tre provider accreditati (Infocert, Poste e Tim) hanno rilasciato 80mila identità digitali, che al momento permettono di accedere a 648 servizi messi a disposizione da 292 amministrazioni pubbliche. Da Agid, l’Agenzia per l’Italia digitale regista dell’operazione, fanno notare che i numeri sono in linea con quelli della Gran Bretagna, che ora ha oltrepassato i 730mila possessori di un profilo digitale, ma nei primi mesi dal debutto (avvenuto a ottobre 2014) faceva registrare una percentuale delle identità online dello 0,03% rispetto agli utenti di Internet.