Non vi è dubbio che un debito pubblico che viaggia ben oltre la soglia del 130% del Pil, da finanziare con aste lorde annuali attorno ai 400 miliardi l’anno per una spesa in conto interessi che varia dai 70 agli 80 miliardi, esponga costantemente il nostro paese a rischi seri di instabilità. È l’elemento di maggiore vulnerabilità dei nostri conti pubblici.
Dove stanno andando i nostri conti pubblici, si chiede il dossier della Fondazione David Hume per Il Sole 24 Ore, dedicato proprio al tema della “vulnerabilità” della finanza pubblica italiana? Se si esamina la traiettoria degli ultimi 15 anni, la velocità di crescita del debito pubblico «è risultata quasi sempre superiore alla velocità di crescita dei prezzi». Solo nel 2003, nel 2008 e qualche mese del 2011 il debito è cresciuto meno dell’inflazione. Nel dossier, sulla base di elaborazioni condotte su dati Istat e Banca d’Italia si mostra quale avrebbe dovuto essere il tasso di crescita del Pil nel periodo 2001-2016 per invertire la tendenza. Il tasso di “stabilizzazione” è indicato tra il 2 e il 3%. In poche parole, anche solo per bloccare il rapporto debito/pil al livello attuale, dovremmo crescere del 2,5%, mentre nel 2015 ci siamo fermati allo 0,8% e quest’anno chiuderemo al di sotto dell’1 per cento.