Meno stipendio fisso e più premi, naturalmente misurati sulla base dei risultati. Accanto a ruoli unici e incarichi a tempo, che hanno monopolizzato il dibattito estivo sul tema, la riforma dei dirigenti approvata il 25 agosto in prima lettura e ora in attesa dei pareri (non vincolanti) di conferenza unificata, consiglio di Stato e parlamento lancia un nuovo tentativo di rivoluzionare la busta paga dei dirigenti: una “rivoluzione”, va detto, che se sarà portata avanti davvero promette di congelare per molti anni le parti fisse dello stipendio.
Il punto chiave si incontra all’articolo 8, comma 2 del decreto, che fissa due principi: le voci variabili devono rappresentare almeno la metà dello stipendio complessivo, al netto di anzianità ed eventuali incarichi aggiuntivi, e il 30% va collegato ai «risultati». Nel caso dei dirigenti generali, cioè quelli che si trovano nelle caselle più alte della gerarchia pubblica, la quota variabile deve salire fino al 60% del totale, e quella legata ai risultati non può fermarsi sotto il 40 per cento. Fino a quando non si raggiungeranno questi parametri, i contratti collettivi «non possono destinare risorse alla parte fondamentale né all’indennità di posizione».