Sono tanti i numeri a cui si può aggrappare chi sostiene la necessità di una maggiore flessibilità di pensionamento in Italia. Mercato del lavoro bloccato, 55enni disoccupati e a rischio povertà, lavoratori impiegati in attività usuranti che non ce la fanno più, aziende che non riescono più a fare nuove assunzioni perché non possono mandare in pensione dipendenti, quadri e dirigenti della vecchia guardia. Tutti argomenti più o meno fondati e rispettabili (a livello micro) ai quali se ne aggiunge di solito uno un po’ più retorico: non si può costringere un operaio a lavorare oltre i 65 anni, fino ai 66 e sette mesi previsti dalla legge del 2011. Al di là delle valutazioni di ognuno è un fatto che da almeno vent’anni (la riforma Dini è del 1995 e ad essa sono seguite ben sei correzioni) si tenta di elevare l’età di pensionamento per rendere sostenibile il sistema. Ci sono riusciti i tanti governi che ci hanno provato? Le tavole che presentiamo invitano a un giudizio cauto: l’età effettiva di pensionamento è aumentata di meno di 3 anni tra il 2001 e il 2015. Media vuol dire che ci sono ancora moltissimi cittadini che per una ragione o per l’altra riescono ad andare in pensione con meno di 60 anni. E’ andata così fino all’anno scorso e andrà così anche quest’anno. Appuntiamoci questi numeri prima di dare un giudizio definitivo della nuova flessibilità in arrivo per il 2017.