È la prima intesa dopo 8 anni – l’ultima risaliva al 17 dicembre 2008 – quella trovata ieri (28 settembre 2016) ad Algeri tra i Paesi Opec. L’organizzazione è riuscita ad accordarsi per un taglio di produzione di petrolio di oltre 700mila barili al giorno, determinando una riduzione a 32,5 mbg – decisione che ha proiettato in rialzo del 5% le quotazioni del greggio, portando il Brent a chiudere a 48,69 dollari al barile.
Un passaggio importante ma non ancora definitivo. Resta ora l’esecuzione del piano – su cui saranno chiamati a collaborare anche i produttori non Opec – rinviata al prossimo vertice ufficiale, programmato per il 30 novembre a Vienna. In questa sede si promette di risolvere il nodo più difficile – l’assegnazione dei livelli consentiti a ciascun Paese – con il rischio di mandare tutto all’aria.
Il documento che ha fatto da base alle discussioni prevedeva una ripartizione dei sacrifici per i tagli: a ciascun paese membro si chiedeva di ridurre l’estrazione di petrolio dell’1,6%, fatta eccezione per Nigeria, Libia e Iran. Per l’Arabia Saudita, invece, si suggeriva un limite di 10,145 mbg, che implica un taglio di circa 600mila gb rispetto ad agosto.
La ripartizione verrà esaminata da uno speciale comitato, in vista del vertice di novembre. Resta tuttavia da sciogliere il nodo della Russia, che continua a offrirsi di collaborare con l’Opec. Ma intanto ha bruscamente accelerato la produzione: in settembre, secondo stime preliminari, avrebbe estratto ben 11,1 milioni di barili al giorno – un nuovo record nell’era post-sovietica.