Bisogna tornare al 1985 per trovare un cambio sterlina-dollaro a questi valori. In due giorni la divisa di Sua Maestà ha perduto poco meno del 2% sulla moneta americana scivolando fino a quota 1,2759. Dopo il crollo di lunedì, quando già veleggiava attorno a 1,28, i mercati sono tornati a penalizzare il pound, imponendo una svalutazione, nella sola giornata di ieri, dell’1,3 per cento. Forte è stata anche la correzione contro l’euro, scambiato a 87,5 pence con un meno 0,2% fin dalle prime contrattazioni. Per converso, e come già accaduto lunedì, è balzato il Ftse 100 che con un progresso in apertura superiore all’1% ha sfondato la vetta dei 7.000 punti, oltre i livelli che si registravano nel 2015. A beneficiarne sono state soprattutto le imprese che fatturano in dollari e riportano i profitti in sterline, anche se spesso l’effetto è ridimensionato dalle conseguenze contabili innescati dal foreign exchange sul debito che le multinazionali hanno in dollari. Sono andati alle stelle anche i costi di hedging contro le fluttuazioni della sterlina nei prossimi tre-sei mesi (10,6% come l’opzione a nove mesi), a conferma che le scosse sono destinate a continuare.