Nel 2015 il mercato globale del “core design” (zona giorno e notte, cucina e bagno) ha raggiunto un record storico, 32 miliardi di euro, superando la soglia dei 31 miliardi del 2007. Mentre il settore nel suo complesso è arrivato a 100miliardi. Al confronto con il periodo pre-crisi, il risultato sembra incoraggiante. Guardando invece agli incrementi percentuali, non si registrano dati straordinari, ma la crescita appare solida e costante.
Una buona notizia per le imprese italiane, che sono protagoniste di questo mercato. I brand del nostro Paese hanno la redditività più alta: circa 200 aziende con un fatturato medio annuo di 50 milioni di euro. Una cifra importante, ma ancora non al livello di quelle dei player internazionali – ad esempio le competitor americane raggiungono in media i 200 milioni.
Un dato in linea anche con il fatto che i mercati esteri crescono di più. Dallo studio condotto (Design Market Monitor) si registra uno scollamento tra la geografia della domanda e quella dei consumi “alto-spendenti”. Mentre l’Europa, che rappresenta quasi la metà degli acquisti globali del settore, fa segnare una crescita (nel 2015) del 4%, l’Asia – la cui quota di consumo è di appena il 15% – ha registrato un incremento del 7%.
I dati parlano di una trasformazione in corso, non solo per le aree geografiche, ma anche per i canali di vendita e la tipologia dei player. Ad esempio, i cosiddetti “branded retailer” americani crescono con maggiore dinamicità – seppur con redditività minori. Essi recepiscono, infatti, una nuova esigenza: entrare in contatto in modo più diretto con i consumatori – in una parola disintermediazione. Una possibilità è lo sviluppo di nuovi modelli distributivi: il tradizionale canale multimarca (che rappresenta comunque il 70% del business) sta entrando in crisi, a vantaggio di retail, contract e soprattutto e-commerce (che registra un +24% in un anno).
«Non dobbiamo mai fermarci davanti a una innovazione, inseguire la creatività. È l’obbligo dell’Italia» questo il monito lanciato da Claudio Luti, vice-presidente della Fondazione Altagamma, che ha condotto lo studio.