Il sorpasso è compiuto. Secondo l’ultimo report dell’International Energy Agency (Iea), l’energia da fonti rinnovabili ha superato il carbone a livello di capacità installata: oltre il 50% della power capacity disponibile nel 2015, con un picco record di 153 Gigawatt trainato da fotovoltaico ed eolico. Un boom che alimenta le startup del settore? Solo in parte: il bilancio, ad oggi, registra tante iniziative ma pochi risultati degni di nota per investimenti e fatturato. Se si guarda ai tassi di crescita, le startup di ambito energetico incidono per circa il 10% sulle oltre 6.400 imprese iscritte nel database delle Camere di Commercio. Il rapporto Innovazione energetica 2016 dell’Istituto per la competitività, un’associazione no profit, ne ha contate 545 sulle 5.097 totali registrate a fine 2015, con un raggio di azione che va dai sistemi smart di gestione dei consumi alla produzione di biocarburanti. Meno visibili, per ora, i ritorni economici. Sempre secondo il report Icom, solo il 40,5% delle startup energetiche ha depositato un bilancio e una quota di appena il 30% dichiara un fatturato sopra ai 100mila euro, contro il 2% che si spinge sopra i 500mila euro e l’1,6% per quelle che vanta guadagni superiori al milione di euro. Prima ancora dei fatturati, però, languono i finanziamenti messi sul piatto dagli investitori. Secondo dati forniti al Sole 24 Ore dall’Osservatorio Startup Hi Tech del Politecnico di Milano, su 180 startup hi-tech finanziate tra 2015 e 2016 appena il 5% appartiene alla categoria cleantech-energy contro il 75% del digitale e il 20% di segmento come le biotecnologie. Anche più magro il valore percentuale dei finanziamenti: l’1% su un totale di 180 milioni, in discesa rispetto alle medie rilevate nell’ultimo quadriennio. Nel 2012, ai tempi del primo Osservatorio del Politecnico, le energie rinnovabili si aggiudicavano il 16% dei 77 milioni di euro investiti. Nel 2014 la quota è scesa al 6% su 63 milioni. Antonio Ghezzi, direttore dell’Osservatorio Hi tech del Politecnico di Milano, imputa la crisi ai tempi lunghi di incubazione e all’assenza di grandi fondi di investimento specializzati. «”Il comparto Cleantech & Energy delle startup hi-tech finanziate richiede periodi di “incubazione” dell’idea che sono mediamente superiori a quelli in ambito digitale, e non ci sono alle spalle fondi d i investimento specializzati in scienze della vita come nel caso del biotech» spiega Ghezzi. Gli spiragli di crescita? Il dialogo con i player che dominano il mercato, interessati ad assorbire modelli (e potenziali concorrenti) per le proprie divisioni R&D. Va solo studiato il come: secondo Ghezzi, le grandi aziende «stanno ancora cercando le migliori modalità di collaborazione . Degne di nota sono comunque le iniziative di startup scouting (all’interno del progetto Startup Intelligence del Politecnico di Milano) da parte di grandi player del comparto energy e utility, quali Enel, Eni, Snam, Era, TotalErg, Engie e Siram». Il fenomeno, naturalmente, non si limita all’Italia. Un colosso dell’oil&gas come Shell ha appena lanciato «Make the future», programma ad hoc per sostenere startup delle energie rinnovabili. Malena Cutuli, capo globale della brand communication del gruppo, spiega che il gruppo è a caccia di «idee brillanti» per l’energia, dai biocarburanti alla digitalizzazione dei sistemi di gestione. Insomma, le vie per fare profitti «in un low carbony society, una società con meno emissioni».
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