A fare lo sgambetto ad Hillary Clinton è stato il maschilista Donald Trump. E lo ha fatto a pochi passi dalla linea del traguardo. Clinton, che ha lavorato una vita per questo obiettivo, è stata così battuta da chi ha deciso solo un paio di anni fa di partecipare alla corsa per le presidenziali. Peraltro osteggiato da gran parte del suo stesso partito. Eppure ce l’ha fatta e ha infranto definitivamente una svolta storica per gli Stati Uniti: dopo il presidente nero, una presidente alla guida del Paese.
Nell’immaginario collettivo era un’altra la prospettiva che sarebbe dovuta uscire da questa notte elettorale. Clinton presidente che sarebbe andata ad affiancare nei consessi mondiali le già potenti Janet Yellen, numero uno della Federal Reserve, Christine Lagarde, numero uno del Fondo Monetario Internazionale e Kristalina Georgieva, numero uno della World Bank. Oltre alle colleghe europee: la neo-premier britannica Theresa May e l’inossidabile Angela Merkel. Con loro avrebbe messo sul tavolo del G7 il peso più importante a livello economico e se avessero trovato un asse comune, avrebbero potuto portare a qualche cambiamento nella politica economica globale.
Non sarebbe stata una svolta storica solo per gli Stati Uniti, quindi. Sarebbe stato uno snodo epocale per la politica e la cultura a livello globale. L’occasione è persa e al mondo resta uno sparuto numero di donne presidenti, solo 14 al momento. Un club davvero esclusivo, si può dire con qualche amarezza.