Quelle del 2012 sono state le elezioni vinte con i Big Data. In realtà quattro anni prima Barack Obama è stato il primo candidato a utilizzare in modo massiccio analisi predittiva, tecniche di microtargeting e dati sul fundraising. Anche quest’anno i candidati si sono mossi affidandosi a startup e società specializzate. Lo strumento principe oggi come quattro anni fa è stata la cara e vecchia mail. La personalizzazione dei messaggi via posta elettronica, secondo Bloomberg, è stato l’asso nella manica del nuovo presidente degli Stati Uniti. Ma questa volta la corsa elettorale Trump l’avrebbe vinto sui social e sulle televisioni. In che modo? A settembre il nuovo presidente degli Usa ha investito cinque milioni per avere la consulenza di Cambridge Analytica. Il motivo (per tutti) è sempre lo stesso: guardare nella testa degli elettori. La società britannica avrebbe a disposizione un database su 230 milioni di cittadini americani. Il loro approccio è quello di combinare tecniche di microtargeting con una profilazione psicologica del target. In sostanza i dati vengono raccolti attraverso survey online e attraverso i social. Vengono poi analizzati insieme ad altre informazioni per capire come rendere più efficace il messaggio politico.
Hillary Clinton invece ha puntato moltissimo sul microtargeting. Nel mese di marzo il suo team avrebbe inviato più di 700 diversi tipi di messaggi, secondo le stime eDataSource, che monitora le comunicazioni da campagne politiche. Il doppio dei messaggi di posta inviato dal suo sfidante democratico, Bernie Sanders, e quasi dieci volte più di Trump. Più nello specifico Hillary avrebbe utilizzato la tecnologia sviluppata da Michael Slaby, che ha lavorato come responsabile della campagna di Obama nel 2012. Oggi è il co-fondatore di Timshel, una startup che ha sviluppato Groundwork, un software che analizza email marketing, donazioni e analytics database in modo da rendere le campagne più vicine ai desiderata dei supporter.
Il peso dell’attività di queste startup nella vittoria dei candidati non è ancora apprezzabile in modo oggettivo. Il fallimento di sondaggisti tecnologicamente dotati come Nate Silver (FiveThirtyEight ) o Sam Wang (Università di Princeton) dimostra però che non esiste ancora una tecnica migliore di altre. E anche che sui social viviamo in “bolle” con algoritmi in grado di tenerci al riparo da opinioni lontane dalle nostre. L’unico che ha previsto in tempi non sospetti la vittoria di Trump è Allan Lichtman, uno storico che insegna storia alla American University di Washington.
Quello che sta accadendo di nuovo è la nascita di startup estremamente specializzate in grado di utilizzare tecniche e tool informatici mai sperimentati prima. Nel mondo possiamo contare una trentina di questi soggetti. Tra le più note c’è Civis Analytics. Fondata da Dan Wagner, ex chief analytics officer per la campagna di Barack Obama del 2012. Quid rileva il sentiment delle notizie per individuare gli argomenti più sensibili. Nel 2015 ha ricevuto un investimento di 39 milioni raggiungendo una raccolta superiore ai 60 milioni di dollari. Molto apprezzata dagli investitori anche Fiscal Note che a febbraio ha ricevuto un finanziamento da 28,2 milioni di dollari.
Ma in Italia? Di startup specializzata nei Big data applicata alla politica ce ne sono poche. Su internet troviamo i nomi di PolicyBrain, Voices from the blog, Inpolitix, ISayData. La più interessante è Quorum. Sono giovani, curano sondaggi e focus group e si definiscono una agenzia di comunicazione politica e di strategia per campagne elettorali. Recentemente hanno seguito la campagna del sindaco Giuseppe Sala.