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finanza

Quanto vale l'industria del videogioco italiana?


Hanno una età media di trent’anni. Un’azienda su quattro ha più di 5 collaboratori e una su due non arriva a 10mila euro di fatturato annuo. È?impietosa ma sincera la fotografia contenuta nel Censimento dei Game Developer italiani presentato oggi a Roma da Aesvi l’associazione che rappresenta editori e sviluppatori di videogiochi in Italia. Sono micro-imprese, perlopiù autofinanziate che hanno cominciato a guardarsi intorno e oggi prendono in considerazione anche nuovi business come le applicazioni interattive con finalità non ludiche (marketing, pubblicità, comunicazione). Di soldi però ne vedono pochini. Il giro d’affari del videogioco italiano è di circa 40 milioni di euro, due anni fa era la metà. Solo il 5% dei game designer indipendenti guadagna oltre un milione. Nel 44% dei casi il fatturato non supera i 10mila euro. «La produzione di videogiochi in Italia – commenta Paolo Chisari, presidente Aesvi – complessivamente sviluppa un giro d’affari ancora abbastanza contenuto, ma nel suo piccolo è stata interessata da una crescita importante negli ultimi due anni sia in termini di fatturato sia in termini di addetti». Per far diventare il gaming italiano più competitivo nel mercato globale e renderlo maggiormente attrattivo, è auspicabile che siano adottati una serie di interventi a medio e lungo termine, sulla scia di quanto già sperimentato da diversi paesi europei dove il settore riceve un considerevole sostegno pubblico».
L’Italia insomma si conferma una naziona che “mangia” videogiochi (il giro d’affari è tornato a sfiorare il miliardo di euro) ma ne produce ancora pochi. Eppure, qualche cosa si sta muovendo per la nascente scena di startup videoludiche. Per la prima volta i videogiochi sono inclusi in una politica pubblica di sostegno a favore dell’industria culturale e creativa. Con il varo alcune settimane fa della riforma del cinema anche produttori e distributori di videogiochi potranno beneficiare concretamente di una serie di misure di sostegno finanziario, che saranno coperte attraverso il fondo per lo sviluppo degli investimenti nel cinema e nell’audiovisivo. La dotazione non è di 400 milioni di euro all’anno. Per il settore è una svolta.
Per le startup questa misura arriva a valle di una maggiore maturità mentale. La quasi totalità delle realtà produttive opera oggi in ottica multi-piattaforma (tipicamente iOS e Android) e, in media, negli ultimi 3 anni ciascuno di loro ha sviluppato 5 giochi (con punte di 25 giochi in un caso). Ma il dato più interessante è legato a una maggiore consapevolezza sui modelli di business e sulle potenzialità del videogioco come prodotto come generatore di reddito. Sia lato produzione che su quello dei finanziamenti. Per essere più chiari, sfogliando i numeri del rapporto, le attività di impresa sono in larga maggioranza (56% delle frequenze rilevate) autofinanziate. Il supporto finanziario da parte di terzi (siano essi publisher o private equity) è segnalato nel 25% circa dei casi. È assente il finanziamento da parte di istituzioni pubbliche e di istituti di credito (circa 3% della frequenza), mentre si segnala la diffusione di strumenti di crowdfunding (oltre il 7%).
Cresce il supporto dei publisher (tra cui Playstation, Microsoft, Nintendo). Analogamente, il ricorso al fundraising è cresciuto. Il venutre capital invece, da noi pare ancora distratto (è sceso al 5%) è così gli investitori istituzionali e le banche. Insomma, soldi non ne arrivano come in altri Paesi. Ma all’estero i venture capital hanno da tempo messo sotto le lenti le startup videoludiche, e nons olo per diversificare il loro portafoglio investimenti. Due i filoni vengono tenuti d’occhio. L’analisi dei big data legata agli eSport (i videogiochi competitivi che stanno diventando un fenomeno mediatico di scala mondale). E le startup dell’edugaming, in grado di realizzare applicazioni didattiche interattive. Pochi giorni fa la startup di gaming analytics Mobalytics ha raccolto 2,6 milioni di dollari da un consorzio di investitori. Gamer Sensei, piattaforma per l’eSport, ne ha raccolti altri due alcuni mesi fa. E a breve inizierà la corsa per le startu della realtà virtuale.
Tra le misure che potrebbero funzionare in Italia c’è la costituizione di un fondo per lo sviluppo di videogiochi, come succede in gran Bretagna con il Game Fund per creare delle nuove IP da utilizzare per la ricerca di un publisher o da posizionare direttamente sul mercato se si sceglie la strada del self publishing.
 

Articolo del Sole 24 Ore del 22 novembre 2016