Se pensavate che la vittima della crisi politica post-referendum sarebbe stata la Borsa, guardavate dalla parte sbagliata. A pagarne i costi, invece, rischiano di essere i poveri. È, infatti, in pericolo la possibilità di introdurre la riforma destinata a migliorarne le condizioni, attualmente in discussione al Parlamento.
L’Italia è il solo Paese in Europa, insieme alla Grecia, privo di una misura nazionale universalistica – destinata cioè a chiunque si trovi in tale situazione – contro la povertà assoluta, ossia l’indigenza vera e propria, dovuta alla mancanza delle risorse economiche necessarie per conseguire uno standard di vita minimamente accettabile (legato ad alimentazione, abitazione, vestiario, trasporti e così via). La sua introduzione è stata richiesta – da più parti – sin dall’inizio degli anni 90, senza trovare ascolto da nessuno degli Esecutivi susseguitisi nel tempo. Intanto, però, le persone coinvolte sono salite da 1,8 milioni del 2007 (pari al 3,1% del totale) a 4,6 milioni del 2015 (il 7,6%). I dati su condizioni di vita e reddito pubblicati ieri dall’Istat – ripresi nelle tabelle a lato – mettono ulteriormente a fuoco il profilo del disagio sociale nel nostro Paese. Mostrano infatti, come il 28,7% degli italiani viva in uno stato definito a rischio di povertà o esclusione sociale. Tra loro figura anche un 7,6% di persone in povertà assoluta che contribuiscono a fare dell’Italia il Paese con le disuguaglianze di reddito più ampie d’Europa.