Forse è solo «una delle idee» in discussione, come ha precisato il portavoce della Casa Bianca, Sean Spicer, in una delle tante giravolte della neonata amministrazione statunitense. Di sicuro, quella di una tassa alle importazioni del 20% è un’idea pericolosa. Per il Messico, che con gli Stati Uniti ha un surplus nello scambio di beni di 67 miliardi di dollari (dato 2015), ma anche per la Cina, il cui avanzo è cinque volte tanto (367,4 miliardi), come per l’Unione Europea (156,9), la Germania (75) o l’Italia, che nel 2015 ha chiuso con un surplus di 28 miliardi.
E alla fine è un’idea pericolosa per gli stessi Stati Uniti. Da un lato perché farebbe aumentare i costi sostenuti da imprese e consumatori americani per acquistare le merci importate dall’estero, come pure i beni prodotti negli Usa con componenti fornite da aziende messicane, cinesi, vietnamite ed europee. Il dazio sarebbe in parte assorbito dalle aziende, sacrificando i profitti, in parte sarebbe scaricato sugli acquirenti finali, andando così ad alimentare l’inflazione, cosa che potrebbe spingere la Federal Reserve ad accentuare la stretta sulla politica monetaria proprio mentre la Casa Bianca progetta misure di bilancio espansive.