Si gioca intorno agli otto miliardi di euro, che ogni anno alimentano le parti “variabili” dello stipendio, la partita decisiva sul futuro economico dei dipendenti pubblici, nei due tempi rappresentati dal decreto in arrivo -che riscrive il testo unico del pubblico impiego – e dalle trattative per il rinnovo contrattuale, che andranno avviate subito dopo.
Il tema è al centro del confronto con i sindacati sul decreto attuativo della riforma Madia, atteso al primo via libera in Consiglio dei Ministri. L’argomento è delicato perché le indennità variabili, al cui interno la produttività è protagonista, valgono in media 2.300euro a dipendente, superano i 3mila euro pro capite nelle agenzie fiscali fino al picco da 11mila euro negli enti pubblici non economici: cifre in ogni caso parecchio superiori a quelle che un rinnovo contrattuale può offrire sulla parte fissa.
Le distanze tra governo e sindacato si sono subito allargate sulle scelte concrete per muovere il pendolo fra legge e contratti: mentre il primo preme per tentare in ogni caso la via della “selettività” nel riconoscimento dei premi, il secondo attore in causa vuole evitare il più possibile effetti collaterali in busta paga. Per questa ragione la battaglia si è accesa sul tentativo del governo di fissare comunque nella legge un parametro fisso, che avrebbe chiesto di concentrare il 50% dei premi sul 25% dei dipendenti, lasciando agli altri il resto.
Un criterio decisamente meno rigido di quello del 2009 e che potrebbe sembrare una “vittoria” politica per i sindacati, ma resta da decidere quanto peso dare alla performance collettiva, dell’ufficio, e a quella individuale.