La Commissione europea prevede che la crescita dell’economia italiana resti nel 2017 la più bassa tra i paesi dell’euro. Se guardiamo il grafico ci accorgiamo che in Italia, ciò che è crollato sono stati soprattutto gli investimenti privati, il cui livello è caduto per due volte del 15% nel corso di pochi anni. Il calo cumulato di un terzo degli investimenti non ha precedenti nelle economie avanzate e coincide con gli shock che nel 2009 e 2011 hanno messo in dubbio la cornice istituzionale.
Evidentemente, in un mondo mobile e finanziarizzato, sono i risparmi e gli investimenti i primi a reagire agli shock e lo fanno con variazioni violente. Perfino il surplus esterno della Germania, uno dei grandi macro-squilibri dell’economia europea, è spiegabile solo osservando che successivi shock di incertezza che hanno colpito le famiglie tedesche – in alcune fasi hanno pesato proprio i dubbi sulla tenuta dell’euro-area – hanno creato degli scalini di maggior risparmio, senza invece modificare le propensioni al consumo. Questi scalini sono persistiti, facendo via via crescere la distanza tra esportazioni e importazioni.
Il sistema di governo dell’economia europea non è disegnato per contrastare gli shock istituzionali, ma per disciplinare la fluttuazione ciclica della domanda o la divergenza strutturale dell’offerta, rispondendo quindi alla logica convenzionale. Gli shock da incertezza, come quelli sulla fine dell’euro, vengono semmai contrastati in extremis – per esempio dalla Bce quando assicura che farà ogni cosa necessaria a salvare l’euro – ma ciò non è mai sufficiente a farli rientrare interamente. Una volta che l’incertezza ha colpito i risparmiatori e gli investitori, si produce infatti un fenomeno di isteresi: gli effetti di maggior risparmio o di minor investimento persistono anche una volta eliminati i fattori che li hanno causati. Così il surplus esterno tedesco si riproduce anno dopo anno, anche quando il governo di Berlino restituisce reddito alle famiglie. Ugualmente, nonostante il sostegno della Bce all’integrità dell’euro-area, e i tentativi dei governi italiani di adottare politiche severe prima o più accomodanti dopo, nulla sembra convincere gli investitori a puntare ancora sull’Italia.