Qualche giorno fa Eurostat ha pubblicato i dati sulla ricchezza di circa 300 regioni europee nel 2015. Come ne esce l’Italia che è il secondo paese beneficiario dei fondi europei per le regioni più povere? Come ne esce il Mezzogiorno? Non bene. Nell’infografica abbiamo ricostruito i dati del pil procapite a parità di potere d’acquisto dal 2012 in avanti e il risultato è che tutte le regioni stavano peggio di 4 anni prima.
Questi numeri sono esaminati al microscopio da quegli Stati membri che vorrebbero ridurre drasticamente le risorse della politica di coesione e rivedere profondamente i criteri di assegnazione e di spesa. Se finora, sostengono in molti, questo strumento si è rivelato poco efficace, come dimostrano gli indicatori macroeconomici, forse è arrivato il momento di cambiare. Il confronto è in corso e da qui a fine anno ridisegnerà il bilancio Ue di cui i fondi strutturali rappresentano circa un terzo.
I tagli imposti dalla Brexit sono un’ulteriore complicazione che si somma ai nuovi bisogni, dalla difesa all’ambiente, dalle migrazioni alla sicurezza. Coesione e politica agricola sono sempre di più i bersagli predestinati.
Uno dei nodi irrisolti della politica di coesione è proprio l’efficacia, difficile da misurare. La scorsa settimana anche la Corte dei Conti Ue ha riconosciuto che gli indicatori di performance sono troppi e non armonizzati. Ma cosa sarebbe accaduto alle regioni del Sud negli anni più duri della crisi senza gli investimenti dei fondi europei? Per non dover accettare un drastico taglio a partire dal 2020, le regioni devono fare tutti gli sforzi per dimostrare di saper spendere bene i soldi a disposizione e l’Italia che finalmente ha di nuovo un ministro per la Coesione, deve far sentire senza timidezze la propria voce nel confronto in corso a Bruxelles.