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cronaca

Lavoro: in Danimarca giovani subito fuori di casa e poco precariato. E in Italia?

I giovani italiani sono bamboccioni? No, perché se non riescono ad avere una vita autonoma è colpa dei contratti di lavoro sempre più precari. Invece sì, visto che nell’ultimo decennio l’età in cui si abbandona la casa dei genitori è rimasta costante, nonostante l’esplosione del precariato. Che, per inciso, è agli stessi livelli della Svezia. Dove però si salutano mamma e papà con dieci anni di anticipo. La realtà dei fatti è che la questione è più complessa. E che si porta dietro certamente fattori economici, ma anche culturali, sociali e politici.

 

Per capire meglio come stiano le cose, Infodata ha incrociato due rapporti rilasciati nei giorni scorsi da Eurostat. Il primo dedicato all’età in cui i giovani sono pronti a lasciare il “nido”. Ovvero ad andare a vivere da soli. Il secondo dedicato invece alla percentuale di contratti di lavoro temporanei, con un focus sulla popolazione di età compresa tra i 15 ed i 29 anni. Nella fattispecie rientrano sia le occupazioni a tempo determinato che quelli legati ad uno specifico progetto, realizzato il quale il rapporto di lavoro si interrompe. Ma anche le sostituzioni, ad esempio per la maternità. Il risultato, con numeri che coprono il periodo compreso tra il 2000 ed il 2015, è rappresentato in questa infografica:

 

Intanto, alcune precisazioni su come si legge il grafico: più un punto si trova in alto, più sale la percentuale di giovani tra i 15 ed i 29 anni con un contratto precario. Più si trova destra, più cresce l’età media di abbandono del “nido”. I punti, che portano i colori della bandiera dello Stato che rappresentano, sono anche dimensionati rispetto all’anno di riferimento: i più piccoli riguardano il 2000, i più grandi il 2015. Agendo sui filtri nella parte alta è possibile selezionare uno o più Paesi, piuttosto che una o più annate per effettuare dei confronti. Inoltre è possibile scegliere di concentrarsi solo sulle ragazze o soltanto sui ragazzi.

Guardando all’infografica nel suo complesso, si nota come la situazione “migliore” si viva in Danimarca. Qui già a 20 anni i giovani sono in grado di andare a vivere da soli e solo un quinto di loro si trova nel mercato del lavoro con un contratto precario. In Svezia si riesce ad uscire di casa con qualche mese di anticipo di quanto non si faccia nello Jutland, ma è anche vero che il precariato è più diffuso.

Il Regno Unito e l’Estonia sono riusciti a limitare i contratti precari a meno del 10%, ma nonostante questo è intorno ai 24 anni che si è pronti per uscire di casa. Il tutto in due realtà economicamente e culturalmente molto diverse tra loro. Ulteriore elemento che porta a dire come la risposta alla domanda iniziale sia molto più complicata per essere affrontata con una risposta manichea.

Per capire ancora meglio come l’indipendenza dei giovani non sia solo una questione economica, si può guardare a quanto avvenuto in Germania, Olanda e Francia. Qui nei primi 15 anni del secolo il ricorso ai contratti precari è andato aumentando di anno in anno. Ma l’età media dei ragazzi e delle ragazze che vanno a vivere da soli è rimasto sostanzialmente costante. Al contrario in Slovacchia e in Croazia (per rendersene conto basta selezionarle con il filtro “Paese”) l’aumento della precarietà e dell’età in cui i figli lasciano la casa dei genitori è andato di pari passo.

E l’Italia? Nel nostro Paese la situazione è molto più simile a quella che si è vista in Francia e Germania, almeno sul piano dell’andamento. Sul piano dei numeri, invece, sia i contratti precari che l’età media del primo trasloco sono più alte. Ma per visualizzare come le cose siano cambiate nel tempo, è utile dare un’occhiata a questa infografica:

 

Qui si apprezza meglio l’andamento nei singoli Paesi dal 2000 al 2015. I filtri nella parte alta consentono di selezionare quello cui si è interessati, così come di visualizzare la situazione per i ragazzi e per le ragazze. Guardando all’Italia si vede bene come la linea verde che rappresenta l’età media di abbandono della casa dei genitori sia costante negli ultimi dieci anni: era di 29,5 anni nel 2004, è salita a 30,1 nel 2015. Anno in cui è stata più bassa per le femmine (29 anni), più alta per i maschi (31,3). A salire, invece, è la riga rossa che mostra la percentuale di giovani tra i 15 ed i 29 anni con un contratto di lavoro temporaneo.

 

Una combinazione che lascerebbe pensare come non siano solo questioni economiche a trattenere i figli all’interno del “nido” più a lungo di quanto non avvenga in altri contesti europei. Influiscono certamente altri elementi, dal potere di acquisto degli stipendi all’accessibilità degli affitti. E probabilmente anche aspetti culturali, difficilmente però “misurabili”. Col risultato che è molto difficile dare una risposta univoca alla domanda iniziale.

Ultimi commenti
  • Daniel |

    Tasso di disoccupazione(2000-2015): Spagna(12,4-23,6); Croazia(14,6-16,9); Italia(10,6-12,3); Regno Unito(5,7-5,5); Germania(8,2-4,8); Svezia (6,2-7,9); Francia(9,8-10,3)
    Tasso di disoccupazione giovanile-fino a 25 anni (2000-2015): Spagna(25,1-51,3);Croazia(36,6-43,8)Italia(27,6-41,1); Regno Unito(12,3-15,7); Germania(7,2-8,9); Svezia (10,4-21,4); Francia(18,4-24,7).
    Reddito pro-capite a parità di potere di acquisto-dollari US(2000-2015): Spagna(28551-30588);Croazia(10573-13807);Italia(36183-33705);Regno Unito(34834-40933); Germania(38000-45270); Francia(38525-41330).

  • Captain |

    Non c’è peggior cieco di chi non vuol vedere…mi occupo di statistica da diversi anni e i grafici mi sembra non lascino adito a molte interpretazioni!
    Se la media dell’età a cui si esce di casa è rimasta costante i ragazzi, pur sempre piú precari, ad un certo punto cercheranno comunque di uscire di casa, mantenendo l’età media (già alta) pressocché invariata; e meno male che non aspettano a 40 anni!…altrimenti il nostro popolo si sarebbe già estinto…chi si sposa più e si mette a fare figli a 40 o 50 anni? (anche se molte coppie ormai sono avanti con l’età biologica)…ricordiamo sempre che gli stipendi medi (da fame) hanno impoverito sempre piú il Paese, riducendo “ogni anno” il potere d’acquisto in modo drastico.
    I problemi economici che stiamo vivendo, purtroppo ad oggi non li sta risolvendo nessuno. È un dato di fatto!
    Ricordo che in Danimarca, dove sono stato per qualche tempo, i giovani studenti vengono “stipendiati” o meglio indennizzati con contributo mensile di circa 600/700 euro al mese, dopo aver trascorso 18 mesi accademici in regola con gli esami…a me sembra un bell’incentivo a darsi da fare e un bell’aiuto economico…averlo avuto ai miei tempi!

  • Riccardo |

    Esatto Andrea! Manca il fattore salario. E’ proprio quello che fa la differenza.

  • Maurizio |

    C’è un altro aspetto che non avete considerato e che riguarda i compensi: In Francia ad esempio esiste uno stipendio minimo garantito, i lavoratori sono maggiormente tutelati e soprattutto i lavori cosiddetti temporanei sono pagati di più, proprio per la loro natura instabile.

  • Federico |

    Credo che anche un’altra caratteristica dell’economia italiana incida molto: il prezzo relativamente elevato degli affitti. Ad ogni modo, mi sembra che sia l’interazione fra elementi culturali e problemi economici a essere alla abse del fenomeno, non l’uno o l’altro in modo isolato.

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