Se guardiamo al mondo delle startup arrivano notizie contrastanti. L’impennata di finanziamenti che ha interessato le nuove imprese innovative del bitcoin e della blockchain si è infatti fermata e nel 2016, lo dicono i dati di CB Insights, è crollato del 18% il numero di operazioni concluse su scala mondiale, scendendo in un anno da 161 a 132. Alle startup di questo settore sono finiti più capitali (550 milioni di dollari rispetto ai 524 milioni del 2015) ma l’inversione di tendenza sembra evidente. Gli investitori che hanno scommesso oltre 1,5 miliardi di dollari in quattro anni sulle aziende delle criptovalute (solo quattro i deal superiori ai 50 milioni chiusi nel 2016, i cui beneficiari sono stati Circle, Digital Asset Holdings, Ripple e Blockstream) hanno decidere di chiudere i rubinetti? Probabilmente, anzi sicuramente no. Ma il campanello d’allarme è risuonato. E cosa limiterebbe i venture capital? Il fatto che le startup bitcoin siano troppo simili fra loro, accomunate cioè dal fatto di semplificare il processo di pagamento, può essere una spiegazione. Come lo è, sulla carta, l’ambiguità in cui si muovono gli utenti, da una parte alla ricerca della massima disintermediazione possibile (e quindi di operatori diversi dalle piattaforme di scambio consolidate) e dall’altro desiderosi di non vedere venire meno la sicurezza delle loro transazioni. Per non dimenticare l’ipotesi che imputa ai bitcoin la responsabilità di essere un canale di riciclaggio di denaro “sporco”. Il numero di deal nelle startup delle criptovalute, come abbiamo detto, è in diminuzione: che sia un problema di fiducia mai decollata verso questo ecosistema?
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