Il giro d’affari dei progetti legati alla quarta rivoluzione industriale è arrivato in Italia, nel 2016, a circa 1,7 miliardi di euro conteggiando soluzioni informatiche hardware e software, componenti tecnologiche abilitanti su asset produttivi tradizionali e servizi collegati. La crescita rispetto all’anno precedente è del 25% e le aspettative degli esperti, per quest’anno, sono ulteriormente ottimistiche in ragione del fatto che alcune imprese, nel definire nuovi investimenti, hanno atteso la pubblicazione del Piano Nazionale Industria 4.0 e dei chiarimenti fiscali ad esso collegati. I dati che emergono dall’ultima edizione dell’Osservatorio Industria 4.0 del Politecnico di Milano parlano chiaro. Si tratta di un mercato «che gode di buona salute». Cresce, come sancisce infatti lo studio, il numero delle applicazioni già adottate da ciascuna azienda (la media è di 3,4) e aumentano, indirettamente, le opportunità per le startup che si propongono come soggetti in grado di tracciare nuovi. Dall’analisi delle nuove imprese finanziate, a livello internazionale e nazionale, venute alla luce dal 2011 al 2016, scopriamo che le 245 realtà censite su scala globale (per l’indagine è stato utilizzato principalmente il motore di ricerca “Crunchbase”) hanno raccolto nel complesso finanziamenti per oltre due miliardi di dollari. Gli Stati Uniti, si conferma la terra più fertile: 136 sono le imprese costituite nel periodo considerato mentre ammontano a oltre 1,4 miliardi di dollari gli investimenti che le hanno interessate, con finanziamenti medi tre volte maggiori rispetto alle cugine europee (10,9 milioni di dollari per le startup nord americane e 2,9 milioni per quelle europee). Metà delle startup censite (122) propongono soluzioni cloud e analytics mentre l’altra metà del campione si distribuisce in modo abbastanza uniforme tra le soluzioni di Industrial IoT (l’Internet delle cose nella fabbrica), advanced automation (robotica) e additive manufacturing (la stampa 3D).
E l’Italia? La Penisola ospita circa il 30% delle startup del Vecchio Continente oggetto di studio (24 su 80) ma paga un livello di raccolta al di sotto della media continentale. Giovanni Miragliotta, Direttore dell’Osservatorio Industria 4.0 al Politecnico, ha spiegato al Sole24ore come il numero abbastanza elevato di startup italiane inserite nel campione sia, al netto di una comprensibile distorsione “locale” del panel, realmente rappresentativo di un buon livello di attività in corso. «Una prima spiegazione – dice l’esperto – risiede nel fatto che l’Italia è un forte Paese manifatturiero, come lo è il Giappone in Asia». Quanto all’ancora limitata capacità di attrarre capitali delle nuove imprese innovative nostrane, Miragliotta parla di «costante storica che all’orizzonte non sembra proporre inversioni di direzione, anche guardando alle dimensioni del venture capital italiano». Le prospettive di sviluppo comunque non mancano, vedi le misure fiscali del Piano Calenda, che «potrebbero cambiare le dinamiche di investimento e le fonti di accesso al credito», e in linea generale, precisa Miragliotta, «la situazione italiana non è troppo dissimile dallo scenario globale, presenta qualcosa di meno sul fronte dell’automazione avanzata e qualcosa di più in ambito cloud e analytics». Settori dove è prevalente la componente software e in cui, di conseguenza, la nuova imprenditorialità trova maggiore possibilità di attecchire in relazione ai minori capitali necessari per la fase di avvio.
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