Da sola, la Volkswagen fattura il doppio rispetto al giro d’affari (84 miliardi di euro) cumulato dei primi 10 gruppi della manifattura italiani. Ampliando il confronto, i ricavi della “Top ten” italiana sono meno di un decimo rispetto ai Top 10 tedeschi (767 miliardi), un quarto di quelli francesi (327), metà dei britannici (180). I Top 10 italiani pesano per il 5% sul Pil, il 15% in Francia, il 24% in Germania.
Sono numeri che colpiscono quelli emersi dalla 42esima edizione dell’Annuario R&S realizzato dall’area studi Mediobanca che ha analizzato i profili dei primi 50 gruppi italiani quotati nel periodo 2012-2016 (41 industriali, sei bancari e tre assicurativi) mettendoli in confronto con quelli dei peer europei. La grande impresa italiana ne esce con le ossa rotte. E va detto che sta diventando una specie sempre più rara. Solo nell’ultimo anno si sono perse Exor (ora olandese), Luxottica (a breve francese), Pirelli e Italcementi (delistate dopo takeover straniero). Lo slancio manca per una serie di ragioni: dal management che non ha nel gigantismo industriale uno dei suoi punti di forza al ruolo della politica, spesso più propensa a difendere le piccole imprese.