Gli uccelli selvatici sono considerati buoni indicatori della diversità e dell’integrità degli ecosistemi. In primis perché sono in cima alla catena alimentare, sono molto mobili e possono quindi muoversi altrove quando il loro ambiente diventa inadatto. Ecco perché la presenza o l’assenza di alcune specie di uccelli ci dice qualcosa sullo sviluppo della condizione ecologica dell’ecosistema. Ebbene gli uccelli selvatici ad alto rischio di estinzione sono passati in Europa dalle 40 specie del periodo 1990-2000 alle 68 del periodo 2000-2010. E’ il dato più preoccupante, della nuova edizione di “Birds in Europe 3”: un rapporto redatto dalla ong animalista Birdlife International (dopo quelle del 1994 e del 2004). In termini percentuali assistiamo 70% in soli 10 anni. Birds in Europe 3 ha preso in considerazione 541 specie di uccelli selvatici in 50 Paesi europei, con il contribuito di migliaia di ornitologi e appassionati in tutta Europa.
Una conferma arriva anche dall‘Agenzia europea dell’ambiente e dall’istituto europeo sulla biodiversità: tra il 1990 e il 2014 la popolazione dell’Ue di tutte le specie di uccelli comuni è diminuita del 14%, con un picco del 39% per gli uccelli nelle zone agricole.
Nell’Info Data viene rappresentato l’indice di popolazione degli uccelli comuni. E’ un indice aggregato di stime della popolazione per un gruppo selezionato di specie di uccelli comuni. Prendendo la data del 1990 come 100 l’indice di popolazione degli uccelli comuni, nelle foresti e nelle zone agricole segna un calo costante. Più forte nel caso dei terreni agricoli.
Il dato, si legge su Eurostat, sulle specie comuni di uccelli terrestri nelle zone agricole può essere spiegato dall’intensificazione dei modelli di rotazione delle colture e dall’efficienza dei pesticidi nell’eradicazione degli insetti.
L’Italia è uno dei Paesi europei più ricchi di biodiversità. Come si legge sul sito dell’Ispra l’’Italia ospita circa la metà delle specie vegetali e circa un terzo di tutte le specie animali attualmente presenti in Europa. Alcuni gruppi, come alcune famiglie di Invertebrati, sono presenti in misura doppia o tripla, se non ancora maggiore, rispetto ad altri Paesi europei. Tutto questo rispecchia il cosiddetto gradiente latitudinale della ricchezza di specie, secondo il quale la diversità diminuisce all’aumentare della latitudine, cioè sposandosi dall’equatore verso i poli. Per quanto riguarda la biodiversità animale, si stima che in Italia vi siano 58.000 specie (il più alto numero in Europa!), con la presenza di tante specie endemiche. Il 98% di questo totale è costituito da Invertebrati (55.000 specie), Protozoi (1.812 specie) e Vertebrati (1.258 specie). Il phylum più ricco, con oltre 46.000 specie, è quello degli Artropodi, di cui fa parte anche la classe degli Insetti. In particolare, la fauna terrestre è costituita da circa 42.000 specie finora identificate, di cui circa il 10% sono di particolare importanza in quanto specie endemiche. Le specie che vivono negli habitat d’acqua dolce (esclusi i Protozoi) sono circa 5.500, ovvero quasi il 10% dell’intera fauna italiana.
Infine, vi sono in Italia più di 9.000 specie di fauna marina e, data la posizione geografica dell’Italia, è probabile che esse rappresentino la gran parte delle specie del Mediterraneo.
Passando alla biodiversità del mondo vegetale, la flora vascolare italiana comprende quasi 7.000 specie, di cui il 16% sono specie endemiche. A livello quantitativo, il maggior numero di specie si trova nelle regioni caratterizzate da maggior variabilità ambientale e da quelle con territori più vasti: il Piemonte (3.304 specie), la Toscana (3.249), il Veneto (3.111), il Friuli Venezia Giulia (3.094), il Lazio (3.041), l’Abruzzo (2.989).