Dal 2010 ad oggi hanno mosso 1.300 miliardi di dollari. Nell’ultimo anno le transazioni sono aumentate del 42%. E l’Europa cresce a ritmi superiori di quelli americani. Ma se nel mondo la torta delle M&As nell’ecosistema startup è sempre più grande, all’Italia restano soltanto le briciole.
Il quadro emerge dallo “Startup M&As report 2017” realizzato dalla Fondazione “Mind the Bridge” su dati forniti da Crunchbase. Ed è un quadro forzatamente sottostimato, visto che molte acquisizioni vengono annunciate senza rendere noto il valore dell’accordo.
Pur con questa premessa, i numeri restano importanti. Nel solo periodo compreso tra luglio 2016 e giugno 2017 si sono registrate 4.217 exit, per un valore complessivo di 367 miliardi di dollari. In un mercato dominato da player occidentali: l’83% delle acquisizioni e il 90% del denaro investito riguardano realtà europee e americane.
Anche se inserito all’interno di questo contesto, l’ecosistema italiano arranca. Solo ottavo per numero di exit (100), addirittura 11simo per il numero di acquisizioni, appena 63. Due classifiche dominate entrambe dagli Usa, con rispettivamente 8.704 exit e 9.176 acquisizioni. Dati che dicono di come l’Italia sia un Paese in cui è più facile che le startup vengano vendute più che acquistate.
«Si tratta di un dato abbastanza tipico a livello europeo, che non vedrei come negativo», commenta Alberto Onetti, presidente della Fondazione “Mind the Bridge”, che prosegue «È innanzitutto la conferma del fatto che il numero di grandi aziende, con disponibilità all’acquisto di startup, è inferiore rispetto ad altre parti del mondo. E poi c’è un problema culturale: in Europa siamo meno acquisitive». Google, incoronato dal rapporto come il più importante buyer di startup, «ne acquista una alla settimana. Le nostre aziende se ne comprano due all’anno parlano di numeri imponenti».
Ma sono anche altri i dati che aiutano a comprendere le ragioni delle difficoltà italiane. E sono quelli che descrivono le caratteristiche delle startup che arrivano all’exit. Realtà che hanno dai 10 ai 50 dipendenti e che nella loro storia sono state capaci di raccogliere capitali per oltre 50 milioni di dollari. I dati del registro imprese, aggiornati al secondo trimestre 2017, dicono che il 78% delle startup italiane ha meno di cinque dipendenti. Mentre, stando a un rapporto Startup Europe Parntership, solo 135 delle oltre 2.300 startup Ict italiane sono state capaci di raccogliere più di un milione di euro.
Nonostante questo, Onetti predica ottimismo: «l’ecosistema è una ventata d’aria nuova in una casa poco arieggiata e con poche finestre, visto che i capitali investiti sono marginali. Aspettarsi risultati spettacolari in tempi brevi è solo una speranza. Stiamo lavorando, alcuni anche bene, ma non possiamo pensare di diventare i migliori nel giro di due o tre anni».