È da sempre uno dei settori trainanti del Made in Italy e, secondo i dati della Camera nazionale della moda italiana, anche uno di quelli che nel 2017 ha avuto una crescita positiva. Il mondo fashion e del lusso – che proprio in questi giorni sta andando in scena sulle passerelle milanesi – si appresta infatti a chiudere il 2017 con vendite per 87 miliardi di euro, in crescita di quasi il 3% rispetto al 2016. Si tratta di dati incoraggianti di cui, però, non sembrano aver beneficiato le startup. Le nuove imprese, infatti, continuano a contare poco sia in Italia sia in Europa, dove secondo i dati dello European venture capital report realizzato da Dealroom, il fashion rappresenta la settima voce (su venti totali) di investimento dei venture capital. Un posizionamento che vale, negli ultimi dodici mesi, 761 milioni di euro, di cui 421 raccolti nel secondo trimestre del 2017. Poca cosa se confrontato con il valore del mercato delle imprese innovative degli Stati Uniti.
Secondo l’ultimo report realizzato da Cb Insight sull’argomento, le sole prime 44 startup del settore fashion avrebbero raccolto dai venture capital più di 1,5 miliardi di dollari in 130 deal. Eppure sia in Europa che in Italia non mancano le iniziative di accelerazione dedicate a questo comparto. La più ricca è quella di Vente-privee (società di e-commerce francese dedicata alle vendite evento) che, lo scorso maggio, ha stanziato 80 milioni di euro (oltre a uno spazio all’interno dell’incubatore parigino Station F) da mettere a disposizione di 5 startup – italiane comprese – capaci di unire moda e tecnologia. Guardano, inoltre, alle imprese innovative italiane del settore fashion&design anche le call lanciate, tra gli altri, da Intesa Sanpaolo (con il suo programma Startup Initiative), da Ibm e le diverse iniziative che fanno capo alla società di consulenza Fashion technology accelerator. Si tratta, tuttavia, di un fermento che non sempre trova riscontro nei numeri, ancora esigui, delle storie di successo italiane. Secondo l’Osservatorio Startup hi-tech del Politecnico di Milano, le imprese innovative in ambito fashion finanziate nel 2016 sono state, infatti, solo 7 (Lanieri, Sconto Digitale, Armadio Verde, Velasca, Martha’s Cottage, Orange Fiber e Re-Bello), per un valore totale di poco superiore a 7 milioni di euro. Una cifra su cui pesa, per quasi la metà, il finanziamento da 3 milioni di euro, raccolto un anno fa da Lanieri: la piattaforma online di abiti da uomo su misura che, proprio in questi giorni, è diventata il primo brand fashion-tech ad accettare pagamenti in bitcoin. S
i concentrano invece più sul processo e meno sul prodotto le Xyze, Private Griffe e Else Corp che ha sviluppato una piattaforma tecnologicamente avanzata per il retail. Quest’ultima startup, dopo essere stata scelta da Microsoft per incontrare i suoi partner innovativi nel settore retail, ha siglato nei giorni scorsi una partnership con l’azienda It Techdge Group. Ha attirato invece l’attenzione della internet company Axélero, la startup Private Griffe che ha creato un market place online per la compravendita di prodotti di lusso usati o mai indossati. L’azienda è infatti stata scelta per entrare in Axélero Lab: una sorta di venture incubator lanciato dalla società lo scorso marzo. Sembra quindi che a far funzionare finora le startup della moda, sia stata soprattutto la scommessa sul settore e-commerce che si conferma quello in cui, a livello globale, si concentrano il maggior numero di imprese innovative.
Infine un altro settore in cui, confermano gli analisti, stanno nascendo e nasceranno nei prossimi anni diverse startup è, invece, quello della sostenibilità. Un tema su cui anche i grandi brand, un po’ per necessità e un po’ per virtù, sono diventati più sensibili. È questo il caso, ad esempio, di H&M che per il terzo anno di fila ha lanciato il Global Change Award: un premio da un milione di euro dedicato alle startup sostenibili. A vincerlo lo scorso aprile, è stata l’italiana Vegea che ha inventato Wineleather: la prima pelle 100% vegetale, creata dagli scarti del vino.
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